Il Bajkal, limpido gigante siberiano

 

Nonostante le malandate strade russe riusciamo infine ad arrivare a Listvyanka, un piccolo villaggio sulla costa sud del maestoso lago Bajkal. Un vento fresco soffia sulle sponde del lago facendo ondeggiare i rami della foresta che lambisce la strada martoriata dalle buche. La cittadina è un susseguirsi di case di legno in stile siberiano con le finestre intarsiate e di prati contornati da alberi. Un paio di hotel e qualche rustico ristorante ne fanno una località di villeggiatura per standard russi.

Lungo la strada per il molo del piccolo traghetto che trasporta passeggeri e automobili da una sponda all’altra del lago, ci imbattiamo in una maltenuta casupola di legno. Katia legge l’insegna in russo e mi spiega che nel cortile hanno una gabbia con un orso siberiano. Voglio entrare? Compreso nel biglietto c’è la possibilità di dargli da mangiare, mi fa sapere entusiasta. La mia reazione la delude: non ho intenzione di vedere un triste orso in cattività per il piacere insano di turisti disposti a pagare un biglietto per nutrirlo.

Ma è per l’orso, non per fare soldi. È un modo per proteggerlo” è la sua spiegazione; la peggiore che abbia mai sentito, non funziona più neanche per gli zoo europei, figurarsi per una solitaria casa sul Bajkal dove tengono in gabbia il povero animale a uso e consumo di turisti annoiati.

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Passiamo oltre. Siamo venute fin qui alla ricerca dello Shaman, lo scoglio che secondo una famosa leggenda locale, da queste parti conosciuta anche dai bambini, sarebbe stato posto alla foce dell’Angkara per ostacolarne il flusso. Si tratta della combattuta storia d’amore del fiume Angkara, che nasce dal Bajkal per confluire nello Enisej. Figlia del grande lago e innamoratasi dell’Enisej, Angkara comunica al padre il suo amore, ma il Bajkal, contrario a questa unione, lancia uno scoglio davanti al percorso della figlia nel tentativo di bloccarla. Non ci riuscirà perché i due fiumi finiscono per unirsi comunque.

Secondo la cultura sciamanica, nei territori attorno al lago vivono ancora retaggi di sciamanesimo, il Bajkal è un essere vivente, padre dell’unico fiume che vi nasce, l’Angkara, e protettore degli altri 366 immissari. Tra questi, figura il fiume Enisej, il quinto al mondo per lunghezza, nonché il fiume più lungo di Russia. Le aspettative nei confronti dello Shaman sono alte, complice il paesaggio dominato dal placido Bajkal e la bella fiaba d’amore tra i due fiumi che Katia mi racconta percorrendo stretti sentieri tra le alte betulle siberiane. Invece lo scoglio della leggenda si rivela una delusione: solo un grande masso qualsiasi che emerge dalla piatta superficie dello specchio d’acqua, né più né meno.

Il Bajkal è il lago più profondo al mondo, con una profondità media di 758 metri e un picco di 1600 metri, e rappresenta un quinto delle riserve mondiali di acqua. Situato su due placche tettoniche, è considerato patrimonio dell’Unesco per l’incredibile varietà di specie endemiche che lo abitano: circa l’80% della flora e la fauna che vivono nel lago non si trovano altrove al mondo.

Sulle sponde del Bajkal troviamo degli impavidi turisti russi che nuotano nelle gelide acque del lago immersi in una temperatura che si aggira intorno ai 15 gradi. Solo a guardarli rabbrividisco. Con l’aiuto di Katia che mi fa da interprete intratteniamo una conversazione con i due uomini, che scopro non sono turisti, ma abitano non lontano da Irkutsk. Chiedo loro come riescano a nuotare in un’acqua così gelida. Ridono, Katia ha detto loro che sono italiana: per loro sono un essere esotico che viene da un paese tropicale. Fanno spallucce e rispondono che basta nuotare e il corpo si riscalda con il movimento. L’acqua fresca fa bene alla pelle e il lago è bellissimo, incredibilmente limpido ci tengono a farmi sapere. “Si può vedere per metri di profondità” mi dice Dimitri, uno dei due, un ragazzo imponente dagli occhi azzurri, mentre scaccia via con l’asciugamano la miriade di moscerini che ronzano tutto intorno.

Katia mi spiega che la straordinaria limpidezza del Bajkal è dovuta alle circa 200 specie di gamberi endemici che fanno da filtro, una sorta di depuratore naturale. Nonostante la leggendaria limpidezza delle sue acque e il paesaggio circostante che fa pensare a un angolo di paradiso naturalistico, il Bajkal non è esente dai problemi di inquinamento. Una delle maggiori minacce viene dalla Mongolia. È il fiume Selenga, uno degli immissari del lago che porta con sé i residui dei rifiuti non trattati provenienti dalle miniere mongole. Altro problema con il quale gli ambientalisti combattono è l’impianto di produzione di carta e pasta di legno che si trova a Baikalsk. La fabbrica, attiva dagli anni Sessanta, riversa nel lago solfati e cloruri, mentre gli impianti carboniferi di Slyudyanka creano pioggia acida che va a finire anch’essa nelle acque del Bajkal.

img_2522pNel pomeriggio torniamo a Irkutsk su una marshrutka, se possibile più sgangherata di quella che ci ha portate a Listvyanka. Passeggiando per il centro noto molte case dalla tipica architettura siberiana che sembrano sul punto di cadere a pezzi da un momento all’altro. Decadenti e bruciate, sono poco più che sbiaditi scheletri di legno storto che pendono su ogni lato. Lo faccio notare a Katia, chiedendole stupita se non ci sia un programma di conservazione di questa splendide case di legno oramai divenute merce rara nelle città siberiane. Solo Tomsk, nella Siberia Occidentale, vanta elaborati esempi smerlettati di questa architettura. Irkutsk, nonostante i palazzi ottocenteschi che le hanno fatto guadagnare l’appellativo di “Parigi siberiana”, è invece per lo più una città dal triste aspetto sovietico, fatta di severi palazzi grigi e percorsa da vecchi filobus. Agli angoli delle strade però non è raro intravedere ancora qualche vecchia casa lignea con le finestre colorate e sormontate da antichi simboli di buon auspicio che, secondo la tradizione sciamanica del luogo, tengono lontani gli spiriti malvagi.

No, sono protette e molto ambite” mi risponde Katia. “Tanto che alcuni uomini di affari vogliono acquistarle per aprire locali e ristoranti. La gente che vi abita però non ha intenzione di vendere le proprie abitazioni. Per questo molte di queste case sono ridotte così” mi dice guardandomi con un’espressione che vorrebbe essere eloquente, ma che io non riesco a decifrare. Allora, visto che non ci arrivo da sola, conclude: “Diciamo che si sono verificati degli incendi sospetti. Le famiglie che si erano rifiutate di accettare la proposta di vendita dell’immobile si sono ritrovate la casa devastata dal fuoco”. Non aggiunge altro. Mi fa capire che si tratta solo di coincidenze e supposizioni, ma il sospetto è che qualcuno abbia messo a fuoco i palazzi per poterli comprare a poco prezzo poiché i proprietari non hanno il denaro per ristrutturare le case distrutte dagli incendi.

Questi decadenti palazzi lignei mezzo bruciacchiati che pendono tristemente agli angoli delle vie sono ciò che rimane della tradizionale architettura siberiana, sopravvissuta a stento alle colate di cemento che hanno inghiottito la città. Pochi decadenti sprazzi di poesia dimenticati dal pragmatismo della modernità.

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© 2017, Cristina Cori. All rights reserved. Copyright © CristinaCori.com

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