A Sighet, nella prigione dei dissidenti

Arrivo a Sighet, piccola città al confine con l’Ucraina, attraversando le montagne nebbiose della Transilvania e i campi del Maramures punteggiati di covoni di fieno. Puiu, storico amico di famiglia che mi accompagna in questo viaggio, guida come se stessimo fuggendo da qualcuno, sorpassa in curva sui tornanti, suona il clacson ai lenti carretti trainati dai cavalli e si fa il segno della croce a ogni chiesa che incontriamo sulla strada.

Ma nonostante tutto arriviamo sani e salvi a destinazione in questa cittadina remota che ospita il Memoriale delle Vittime del Comunismo, il primo in Romania. Qua veniamo accolti da Norbert, uno dei ragazzi che collabora al museo, che ci farà da guida nella nostra visita.

Prigione di Sighet

La struttura di Sighet nacque nel 1897 come prigione comune e nel 1948 fu trasformata in luogo di detenzione speciale riservato agli oppositori del regime.

L’idea di fare del carcere di Sighet un Memoriale delle Vittime del Comunismo Romeno risale al 1992. Il progetto, presentato dalla Fondazione Accademia Civica, che si impegna della conoscenza del passato del paese, fu approvato al Consiglio Europeo. Oggi questo luogo è riconosciuto dall’Europa come uno dei principali luoghi di conservazione della memoria del continente, accanto al Memoriale di Auschwitz e il Memoriale della Pace in Normandia.

Qui venivano rinchiusi, senza alcun processo, tutti coloro che avevano qualcosa da ridire sul regime comunista. I muri del corridoio che conduce alle celle di detenzione sono tappezzati delle foto di coloro che vennero imprigionati a Sighet. Tra questi la maggior parte furono intellettuali.

In seguito alla stretta sulla libertà di stampa e di espressione infatti molti uomini di cultura furono vittime della politica di terrore della dittatura comunista romena. La Romania fu travolta da quello che i curatori del Memoriale di Sighet chiamano senza mezze misure “genocidio culturale”. Vennero adottate tutta una serie di misure per limitare la libertà di stampa e di parola. Le macchine da scrivere furono sottoposte all’obbligo di registrazione, le fotocopiatrici divennero una vera rarità e, quelle poche esistenti nel paese, di proprietà delle biblioteche nazionali, erano severamente supervisionate.

A scontare la pena a Sighet furono anche gli ecclesiastici che si erano schierati contro la politica di persecuzione e distruzione dei luoghi di culto in seguito alla campagna di sistematizzazione di Ceausescu (se vuoi saperne di più sulle chiese scampate alla devastazione comunista leggi questo articolo). Poi ancora partigiani anticomunisti, etichettati dalla propaganda come “banditi”, sparuti gruppi di uomini privi di una coordinazione nazionale, che vivevano in latitanza tra le montagne dove tra una battaglia e un’altra rimanevano nascosti nell’inutile speranza “dell’arrivo degli americani”. A volte scendevano nei villaggi dove i contadini fornivano loro provviste o riparo.

Altre vittime di prigionia furono i contadini contrari al sistema di collettivizzazione o che anche solo osarono offrire il benché minimo aiuto ai partigiani.

I prigionieri venivano tenuti in isolamento in celle senza riscaldamento in cui era loro vietato sdraiarsi. Coloro che trasgredivano anche in misura minima alle regole imposte venivano relegati nella “cella nera” dove erano costretti a rimanere in piedi giorno e notte, completamente nudi e al buio.

Nel cortile interno del Memoriale è stata realizzata una istallazione dello scultore Aurel Vlad: 18 statue di uomini rivolti verso un muro che sbarra loro la veduta dell’orizzonte. “Simbolo di ciò che prigionieri e cittadini furono costretti a vivere durante il regime” ci spiega Norbert.

L’opera dello scultore Aurel Vlad

Lungo i muri neri del cortile sono invece incisi i nomi delle vittime del comunismo in Romania. Metri e metri di lettere stanno lì a ricordare tutte le migliaia di persone che patirono la persecuzione politica.

Uno di questi nomi è quello del padre di Ana Ciucan Tutuianu, insegnante di francese ora in pensione, nonché traduttrice e attivista che ha lavorato indefessamente come collaboratrice al Memoriale di Sighet.

Ho avuto il piacere di intervistarla a Ploiesti, città a 80 chilometri a nord di Bucarest. Ana è una donna colta dal temperamento energico e una fonte inesauribile di informazioni storiche sulla Romania.

“Mio padre era un brav’uomo, ma aveva un solo difetto: non riusciva a tenere a freno la lingua. Tutto quello che pensava gli usciva di bocca – esordisce Ana quando ci sediamo sul divano dello studio di casa sua tappezzato di libri, appunti, foto – lui era convinto che se si conosce la verità bisogna dirla, ma questo gli è costato caro”.

Gheorghe Ciucan era medico scrupoloso ed eroe di guerra, ma questo non gli bastò per essere risparmiato dalle persecuzioni politiche del tempo.

Tutto ebbe inizio quando a mio padre fu ordinato di truccare le statistiche sulla tubercolosi. Il regime voleva occultare la verità sulla situazione sanitaria della gente. ‘Come si permettono questi criminali venirmi a dire di notificare che la tubercolosi non esiste più, quando io ne registro svariati casi!’ tuonava indignato. Nelle sue relazioni osò scriverne anche le cause che avevano portato la gente ad ammalarsi (ritmi estenuanti di lavoro in condizioni disumane, senza neanche un salario decente o qualcosa da mangiare). Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso”.

Ana Ciucan Tutuianu e il compagno Toma Kassovitz

Gheorghe fu imprigionato per tre anni e per altri tre spedito ai lavori forzati sul canale del Danubio, opera iniziata su consiglio di Stalin. Dal momento che il regime romeno non aveva idea di cosa farsene di così tanti prigionieri politici, chiese consiglio a chi aveva più esperienza in fatto di repressione e Stalin venne loro in aiuto decretando: “Mandateli a spaccarsi la schiena nella costruzione di un canale sul Danubio. Che muoiano lì!” E così fu: ne morirono moltissimi lavorando in condizioni indicibili.

La stessa locazione del carcere di Sighet, al confine con l’Ucraina, che a quei tempi era parte dell’Urss, non fu casuale. Quando i sovietici avevano bisogno di manodopera non avevano che da chiedere. Di lì a caricare i prigionieri romeni su un vagone diretto in Siberia era un attimo.

“La storia di mio padre è solo una delle tante. La vita quotidiana sotto il regime era fatta di frasi sussurrate, paura di venire allo scoperto e bugie. Non avevamo libertà di dire quello che pensavamo neanche a casa. Quando gli adulti volevano parlare di qualcosa mandavano i bambini a fare commissioni affinché non sentissero i discorsi dei grandi. E quando questo non era possibile i piccoli erano educati a non riferire ad altri ciò che udivano tra le mura domestiche. La paura serpeggiava nella vita di tutti i giorni. Vivevamo così: una cosa pensavi, un’altra ne dicevi. Volevi fare in un modo, ma alla fine facevi in un altro. Eravamo obbligati a dire che ciò che ci faceva male era giusto”.

“Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”, targa nel Memoriale di Sighet

Dopo la Rivoluzione del 1989 in cui fu ucciso il dittatore romeno Ceausescu, la Romania si aprì alla democrazia e all’Occidente. Tuttavia Ana non è molto soddisfatta di come sono andate le cose. “Con la caduta del regime abbiamo avuto l’opportunità di costruire il paese su nuove basi, ma da voi [l’Europa occidentale N. d. R] abbiamo preso ciò che è negativo. Abbiamo rifiutato in blocco il Comunismo, ma ci siamo buttati nelle braccia del capitalismo selvaggio nella variante odierna del consumismo, che è un disastro totale. Il Comunismo è stato un terribile fallimento, ma non credo neanche nella politica che l’Occidente ha adottato”.

Qual è dunque la soluzione per l’Europa, le chiedo.

“Io non ho una soluzione. Tuttavia mi sento di dare un consiglio alla vostra generazione: per quanto difficile e doloroso possa essere, affidatevi sempre alla verità. Questo è quello che penso e questo è stato il filo conduttore della mia vita e di quella della mia famiglia.

© 2017, Cristina Cori. All rights reserved. Copyright © CristinaCori.com

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