La sveglia è anche oggi all’alba.
Il battello, che da Siem Reap mi porterà nella città coloniale di Battambang, parte alle 8 ed io devo farmi trovare pronta alla reception per le 7. Dopo venti minuti di attesa si presenta una signora in carne, vestita con un abito stinto, che carica me e i miei bagagli su un motorino impolverato.
Mi fa scendere a un isolato di distanza sulla via che divide la città dicendomi di aspettare. Dopo cinque minuti lascia un’altra ragazza e riparte; ancora qualche minuto e scarica un altro turista. Il carosello si ripete fino alle 8, quando ormai all’angolo della strada siamo diventati una ventina di persone ed è chiaro a tutti che l’orario scritto sul biglietto è a dir poco indicativo: solo mezz’ora dopo arriva il minibus che ci condurrà al molo. Percorriamo una strada che taglia in due delle splendide risaie verdi dalle quali spiccano in lontananza le alte sagome aggraziate delle palme da zucchero.
Attraversando poveri villaggi in bilico su palafitte di legno marcio, arriviamo infine a destinazione dove siamo assaliti da giovani donne che a prezzi esorbitanti tentano di venderci snack e banane.
La barca su cui ci fanno salire è un piccolo battello bianco, scrostato dal sole e macchiato di ruggine dove sono stipate già parecchie persone sedute con gli zaini tra le gambe. Lo spazio è risicato: per entrare tutti ci dobbiamo stringere parecchio e qualcuno finisce sul tetto insieme a bagagli e pacchi postali. Le facce dei turisti attorno a me non sembrano affatto convinte, probabilmente si aspettavano una barca più comoda e dall’aspetto rassicurante. Ma alla fine partiamo.
Navighiamo su un tratto del Tonlé Sap, il più grande lago cambogiano e principale bacino ittico del paese, per poi entrare nel giallo Sangker, il corso d’acqua che porta a Battambang.
Il percorso fluviale si snoda tra placidi villaggi galleggianti in cui le donne lavano i panni nel fiume e gli uomini districano le reti da pesca seduti all’entrata delle case galleggianti, mentre i bambini si tuffano divertiti nell’acqua torbida tra le canoe cariche di mercanzie. Le piccole abitazioni, ricoperte da tetti di lamiera, sono in legno dipinto dalle vivaci tonalità pastello e non hanno porte, cosicché dalla barca si vede all’interno: un’unica stanza dove c’è tutto ciò che serve, riposto sul pavimento o appeso ai muri.
La traversata procede tranquilla e il battello si fa strada tra i villaggi districandosi in mezzo alle chiazze brillanti degli infestanti giacinti d’acqua. Dopo quattro ore di navigazione però il fiume si restringe e comincia il tratto meno popolato, caratterizzato da alte sponde; è la stagione secca e il livello dell’acqua è molto più basso rispetto al normale.
I villaggi fluviali spariscono per far posto alle mangrovie e via via che avanziamo il fiume si fa sempre meno profondo. Il tragitto, prima largo e dritto, diventa ora sinuoso e stretto e il battello è costretto a diminuire drasticamente la velocità di crociera. Improvvisamente si ferma.
Il ragazzo alla guida, un giovane dalla pelle bruciata dal sole, prova inutilmente a far ripartire la barca. Si alza e va a chiedere spiegazioni al resto del personale di bordo che viaggia sul tetto del battello. Cominciano ad andare avanti e indietro camminando a piedi scalzi in bilico sul bordo esterno dell’imbarcazione. Parlano, trafficano con qualche attrezzo e alla fine uno di loro accosta il battello alla riva e lo ferma con una corda al ramo di un albero. Capiamo che il timone incagliandosi nel fango del basso fondale si è rotto. Non resta che aspettare pazienti i meccanici chiamati dal ragazzo.
Se all’inizio del viaggio l’atmosfera tra i passeggeri era fredda, poco a poco la disavventura e la scomodità ci unisce. Si parla, ci si racconta delle precedenti esperienze di viaggio e si socializza. Scopro che la maggior parte dei giovani a bordo stanno facendo il giro del sud est asiatico e molte di queste sono ragazze sole. Alcune tedesche e qualche sporadico statunitense.
Passata una buona mezz’ora arrivano i rinforzi: una canoa con a bordo due ragazzi, con cappello e volto coperto per proteggersi dai raggi del sole. Saltano sul battello e nel giro di pochi minuti sistemano il guasto e ci fanno ripartire. Ma da quel momento in poi la navigazione sarà intervallata da problemi di vario tipo a causa del fiume in secca. Poco dopo infatti siamo di nuovo fermi, questa volta impantanati nel fondale fangoso.
I ragazzi cambogiani scendono dal tetto e cominciano, sotto gli occhi increduli di noi turisti a spingere il battello. Niente da fare, la barca non si sposta minimamente. Il conducente si guarda intorno, i suoi occhi si fermano sui passeggeri. Si consulta con l’equipaggio, alla fine il verdetto: ci fa capire parlando khmer e aiutandosi con gesti, che serve una mano. Chiede agli uomini di scendere e spingere il battello insieme a loro.
La situazione ben lungi dall’innervosirci, ci diverte e alcuni ragazzi si tolgono le scarpe e scendono dalla barca affondando i piedi nel fango. Cominciano a spingere, ma non succede nulla. Alla fine i cambogiani decretano: dobbiamo scendere tutti, il battello è sovraccarico e non riesce a partire in quelle condizioni.
All’inizio pensiamo di aver capito male e ci guardiamo l’un l’altro chiedendoci cosa si aspettano da noi. Ma il messaggio è chiaro: tutti giù, si cammina. Non resta che seguire le indicazioni. Lasciamo le scarpe in barca e uno dopo l’altro scendiamo goffamente dal battello. Ci mettiamo in fila dietro al ragazzo dell’equipaggio che ci guida lungo un sentiero tra campi che splendono del verde delle piantagioni di soia. Procediamo tra palafitte in secca che si affacciano sulla riva rossa, galli ruspanti e contadini che, dondolandosi sulle amache, ci guardano divertiti e increduli con la sigaretta accesa in bocca.
Il battello alleggerito riparte per fermarsi qualche chilometro più in là ad attenderci. La passeggiata fa bene a tutti, contenti di sgranchirsi le gambe dopo ore di stasi. Conversiamo e camminiamo mentre il sole comincia lentamente a scendere sull’orizzonte. Risaliamo a bordo e proseguiamo fino a destinazione senza altri disagi.
Alla calda luce del tramonto, si vedono le sagome dei contadini al lavoro accanto alle capanne di paglia e i bambini che ridendo corrono a riva a salutare il battello che passa. Il cielo si infuoca, l’acqua si tinge di rosso e sulla campagna cambogiana cala la sera.
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