Non si può pensare alla Russia senza tenere conto del suo ingombrante passato comunista. Settantatré intensi anni di Unione Sovietica non si cancellano con la caduta di un muro.
Ancora oggi infatti la capitale russa pullula, suo malgrado, di retaggi legati all’Urss, sovietismi che un occhio attento scorge dappertutto. Il socialismo emerge nei piccoli dettagli lungo le strade; fregi con la falce e il martello decorano i muri, stelle rosse ornano gli edifici, gigantesche pitture raffiguranti fieri operai stacanovisti ricoprono le facciate delle case e gli onnipresenti fasci di grano stanno lì a ricordare che c’era cibo in abbondanza per tutti, anche se in realtà era razionato e bisognava fare interminabili file per ottenerlo.
Quella delle esasperanti code per accaparrarsi i beni di prima necessità fu un’istituzione nella vita quotidiana dell’homo sovieticus perché se è vero che la Russia è sempre stata una grande potenza, è altrettanto vero che si trattava di una potenza “povera” che destinava i maggiori investimenti nel campo militare, nell’industria pesante e in quella aerospaziale. I piani quinquennali non prevedevano lo sviluppo del settore dei consumi e alla popolazione erano riservati pochi, razionati beni di qualità scadente. Lo Stato era l’unico dispensatore ufficiale di cibo e beni primari e, per averli, i cittadini dovevano mettersi in fila, cosa che oggi tutti ricordano con grande antipatia.
“Bisognava stare ore in coda anche per il pane. Era uno strazio!” mi dice Nadya, una ragazza con cui faccio conoscenza a San Pietroburgo.
“Magari c’era anche un lato positivo nello stare sempre in fila: si poteva socializzare, chiacchierare con le persone” le faccio notare io con il mio ottimismo per nulla russo mentre passeggiamo lungo Nevky Prospekt. Si ferma e mi guarda sorpresa. “Dici sul serio? Sì, forse – dice pensosa – Ma prova a stare in fila ogni giorno della tua vita per ottenere un qualsiasi bene di consumo. No, se lo avessi vissuto non credo che avresti trovato un lato positivo” conclude infine Nadya, che del periodo sovietico conserva solo qualche labile ricordo di bambina.
Al termine delle file i russi dovevano presentare le kartochki, le tessere annonarie del razionamento stampate su un pezzo di carta diviso in tagliandi mensili che davano diritto ai generi alimentari. Accanto al mondo delle kartochki però, coesisteva furtivo e nascosto, anche il mercato nero portato avanti con spiccato senso del commercio dai meshochniki, i trafficanti di generi alimentari che facevano da intermediari abusivi tra le campagne e le città o che semplicemente lavoravano nei depositi alimentari a cui attingevano liberamente.
Al collasso dell’Urss seguirono anni di insicurezza e il governo Eltsin gettò la Russia, ancora impreparata al grande evento dell’apertura economica, nel libero mercato. Tra il 2000 e il 2013 grazie a una ritrovata stabilità politica, la classe media crebbe a ritmi esponenziali: se nel 2000 rappresentava solo il 10% della popolazione, nel 2013 quel numero salì a 55.
Oggi i russi, nonostante le sanzioni del 2014 per la questione ucraina che hanno contribuito a fiaccare il rublo e indebolito il potere d’acquisto, restano dei fan sfegatati del consumismo. La difficoltà a reperire alcuni prodotti occidentali non li spaventa, anche se infastidisce non poco la Germania, che poteva contare su una buona fetta del mercato russo, e i produttori del tanto amato cibo italiano; trovare del vero parmigiano nei supermercati è un’impresa impossibile.
Anni di rigore comunista hanno provato a trasformare l’uomo russo in homo sovieticus, una “razza” dedita al lavoro e alla gloria, educata a esaltare uno stile di vita spartano e a disprezzare il desiderio di accumulare beni. Ma sembra che tanta frustrazione consumistica sia oggi sfociata in un’esacerbata passione per gli acquisti, una mania del consumismo forse addirittura più compulsiva di quella da cui siamo afflitti in Occidente. “Che cosa succede se sostituisci l’eroico verbo sovietico dostat (procurarsi) con il banale kupit (comprare), termine quasi mai usato ai tempi dell’Urss?” si chiede Anya Von Bremzen nel suo splendido libro “L’arte della cucina sovietica”.
Nonostante ogni angolo di questa enorme città sia pregno dei fasti del passato socialista, Mosca è una metropoli in perenne lifting in cui si susseguono centri commerciali, elegantissime boutique e locali alla moda. Il panorama mondano moscovita non ha nulla da invidiare a quello delle altre grandi città occidentali e la capitale russa è piena di ristoranti per tutte le tasche e di interessanti cafè che spuntano ovunque in centro.
Ne è passato di tempo da quando Lenin, che portava avanti un regime alimentare ai confini dell’ascetismo, condannava come “borghese”, e dunque inaccettabile, l’aspirazione a mangiare cose gustose. Di quella cultura austera, in cui l’idea di piacere era bollata come degenerazione capitalista e in cui il cibo era considerato semplice carburante, non è rimasto nulla, se non qualche monumentale traccia del glorioso passato sovietico.
Una di queste, probabilmente dell’esempio più maestoso, si trova alla periferia nord della capitale. Si tratta del Vdnkh, ovvero il Centro Espositivo di tutte le Russie, un immenso parco che in tutto il suo realismo socialista celebra il sogno sovietico del federalismo. Tra i padiglioni con i nomi delle repubbliche sovietiche incise sui frontoni, spicca una maestosa fontana con 16 fanciulle dorate abbigliate in costumi esotici, ognuna delle quali porgendo i propri doni, rappresenta le ex repubbliche. La fontana era il simbolo di quell’imperialismo ben occultato che all’epoca veniva eufemisticamente chiamato “Amicizia dei popoli” e voleva celebrare la diversità etnica dell’Urss.
A pochi passi dal Vdnkh, la trionfale statua dell’operaio e kolchoziana si staglia altissima contro il cielo sorretta da un massiccio piedistallo. Stando ai piedi di questo monumento devo ammettere che ho provato una qualche indefinibile emozione, forse per la sua imponenza. O perché con le sue linee dinamiche, luccica alla luce dolce del tramonto. Forse perché sopravvive come un’anacronistica reliquia in questa città oggi fedelmente votata al consumismo più narcisistico. O forse solo perché rappresenta la sintesi perfetta di quell’ideale socialista, finito per frantumarsi sulle barriere dell’inarrestabile natura umana.
© 2017, Cristina Cori. All rights reserved. Copyright © CristinaCori.com
Mi ricordo le file davanti ai negozi quandi la gente aspettava senza sapere che scaricavano i camion.Potevano scaricare salami o carne o carta igienica .C’era bisogno di tutto.I pensionati andavano alle 4 di mattina a fare le file. (eranno più liberi.)Tante volte non facevi in tempo fare le proviste.Perciò capisco Nadia quando diceva che nessuno pensava a socializzare.Dentro eranno tutti arrabbiati e nemeno si poteva parlare.Però ,tu come sempre, ci hai portato nei posti del passato ed anche nel presente con la tua bravura.Chi sa da chi avrai preso?😁😙