Diario sentimentale di un viaggio a Bucarest

“Di una città non apprezzi le 7 o le 77 meraviglie, ma la risposta che dà alla tua domanda”

Italo Calvino

Bucarest ha un fascino tutto suo e una decadenza, a tratti disperata, che mi ricorda Istanbul.

Un tempo famosa per la sua eleganza, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Parigi dell’Est”, è stata deturpata prima dalle follie architettoniche della sistematizzazione ceauseschiana, poi dalle brutture del capitalismo odierno con i suoi imponenti teli pubblicitari spalmati sui palazzi, che invitano la gente a mettere mano al portafogli.

Questa città è un confusionario misto di fabbricati anonimi, palazzi neoclassici, e vecchi edifici art nouveau con finestre tondeggianti in stile liberty e case nel tradizionale stile Brancoveanu fatto di torrette antiche, arcate dal sapore bizantino e guglie larghe. Tra un elegante palazzo e un altro sorgono, senza rispetto di alcun buon senso architettonico, mostri condominiali a più piani. Squadrati, grigi, sgraziati, sembrano pecorai ingenui infiltrati a un ballo di gala.

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Se si abbandonano gli ampi boulevard voluti da Ceausescu, che sono costati la vita a interi quartieri del centro storico, e si entra in strade dalla dimensione più umana, l’occhio si perde in un alternarsi di edifici moderni scoloriti e palazzi signorili pericolanti, abbandonati a se stessi, lasciati a perder pezzi di intonaco dai tetti. Un dedalo di case che sembrano tagliate (o forse lo sono davvero) e con le mura venate di rami di rampicanti ai quali l’inverno ha portato via le foglie.

In questo altalenante sali e scendi di stili dimenticati, si intravedono qua e là condomini di pareti scrostate dall’incuria che sono oggi oggetto di ristrutturazioni con i fondi europei. Le impalcature si aggrappano agli edifici e ne colorano le facciate e ne sostituiscono gli infissi, lasciando intatti gli interni dai pavimenti in cemento e le balaustre arrugginite.

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Nell’oceano di palazzoni bigi, ogni tanto si hanno delle piacevoli apparizioni: chiesette nascoste tra i muri insormontabili dei condomini in stile sovietico. Proprio quando non ne puoi più di stabili monotoni, ti imbatti in questi gioiellini soffocati dall’ (ma anche sopravvissuti all’) urbanistica scellerata del comunismo romeno. Spuntano fuori dove non te lo aspetteresti mai, come perle splendenti dentro gusci ruvidi, minuscole rispetto ai giganti che le sovrastano e se stanno lì a guardarti in silenzio con quell’aria di dignità che è si è salvato a testa alta.

IMG_6200pQuesto è uno dei motivi per cui amo Bucarest: qua non c’è nulla che si può dare per scontato, tutto si tramuta in sorpresa. Un qualche scrigno prezioso si cela sempre nei suoi angoli. Anche quell’orco, che troneggia seduto in pieno centro e da cui si diramano boulevard grandiosi, che è la Casa del Popolo, nasconde nelle sue sale un’eleganza inaspettata. Lì dove pensi risieda un’austerità da falce e martello, un rigore delle forme che richiama alla frugalità comunista, trovi tutt’altro. Il palazzo all’interno è in realtà il tempio della raffinatezza. Tappeti ricamati, pesanti lampadari di cristallo, porte di ciliegio intarsiate dai migliori artigiani del paese, marmo rosa. Un’opulenza fuori luogo per un edificio che esternamente si ispira al classicismo socialista.

Ma Bucarest non è una città per tutti. Non è per chi si indigna di fronte alle imperfezioni, non è adatta all’occhio pigro che si compiace della simmetria, non è per il turista dalla cartolina facile, spesso più interessato a portare a casa souvenir che esperienze. Non è per i frettolosi intenti a macinare monumenti, né per chi vuole attraversare la strada senza pensieri o per i malati di shopping.

È invece un luogo complesso da contemplare con calma e senza la presunzione di poterlo afferrare. È una di quelle città che ti stimolano. Perché Bucarest non dà risposte, pone solo domande.

E ti lascia lì, in sospeso, a tentare di capirla.

© 2017, Cristina Cori. All rights reserved. Copyright © CristinaCori.com

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