Mito e potere, due facce della stessa medaglia
In Russia il potere politico è sempre venuto dall’alto e storicamente ha avuto un carattere sacro. Prima dell’avvento del comunismo infatti lo zar era considerato santo, l’eletto e i suoi ritratti erano appesi nelle chiese. Questa sua doppia natura, politica e sacra, ne legittimava il potere.
I bolscevichi si inserirono alla perfezione in questa tradizione. Nella concezione materialistica in cui Dio, cacciato dalla storia umana e politica, non era ammesso, per colmare il vuoto lasciato dalla sacralità dello zar il Partito creò nuovi punti di riferimento. Il monarca fu sostituito dai leader comunisti e alla popolazione furono propinate nuove favole, quelle che sarebbero poi diventate le mitologie culturali sovietiche.
Con l’adozione dell’ideologia marxista in Russia si verificò qualcosa di simile al fenomeno del primo cristianesimo sui territori dell’Impero Romano quando la nuova religione si innestò sul paganesimo, assorbendo e trasformandone i miti preesistenti e convertendo i vecchi templi in nuovi luoghi di culto. Durante il comunismo venne costruita una nuova impalcatura sacra e intoccabile, mentre le chiese vennero trasformate in magazzini, uffici amministrativi o addirittura musei dell’ateismo. Dietro a queste blasfeme metamorfosi non si celava soltanto il piacere irriverente dei nuovi leader nei confronti dell’istituzione ecclesiastica e il disprezzo materialistico che i bolscevichi covavano per la religione, ma anche la chiara volontà di trasmutare il potere divino nel potere politico del Partito. Così, quella che una volta era la casa del Signore diventava la sede del governatore locale o, per ironia della sorte, il posto in cui si educava la gente a non credere in alcun dio.
I ritratti dello zar vennero rimossi dalle pareti e al loro posto si andarono accumulando nuovi simboli sacri, nuovi volti “santificati”. Ancora una volta i bolscevichi non inventarono nulla, sostanzialmente il paese passò dal cristianesimo di matrice ortodossa al “marxismo alla russa”: più che la struttura religiosa, a cambiare furono i soggetti e i riti.
In questa ottica non è affatto un caso se Lenin, una volta morto, fu fatto reliquia. Il suo corpo mummificato, neanche fosse un faraone, è ancora oggi custodito nel mausoleo a forma piramidale ai piedi delle alte mura del Cremlino, sulla Piazza Rossa di Mosca. Dentro questa piramide di marmo nero si possono vedere “le sacre spoglie” del padre della Rivoluzione. Lo si contempla in silenzio, nella penombra appena rischiarata dalla luce della teca in cui il corpo è custodito. Ci si cammina intorno velocemente con le guardie che incitano i pellegrini-spettatori a non soffermarsi troppo. Il mausoleo di Lenin è vero e proprio monumento in cui si va in pellegrinaggio perché se gli zar erano i vicari di Dio, i capi supremi bolscevichi erano i vicari del comunismo.
L’idea di far imbalsamare Lenin fu di Stalin, che in gioventù aveva avuto una formazione da seminarista e ben conosceva il potere che le reliquie esercitano sul popolo. Fu lo stesso Stalin, in seguito, a impersonare l’onniscenza e l’infallibilità del capo comunista, il dogmatismo del Partito e la caccia agli eretici, tutti concetti di origine cristiana, ma che ben si adattavano alla nuova struttura dello stato. Il marxismo alla russa insomma, altro non fu che la reinterpretazione del messianismo locale.
L’idealizzazione dei vecchi leader politici non è roba passata, ma è più che mai attuale. Al fine di offrire un punto di riferimento a una società, ormai distratta dai nuovi valori della globalizzazione, il Cremlino fa oggi leva sul patriottismo. Si esaltano i fasti del grande impero tramontato tralasciando i lati meno edificanti, come le deportazioni nei gulag e le file per il pane. Si ricordano i grandi leader dal pugno di ferro e le grandi conquiste, per comporre, tassello dopo tassello, un mosaico di immagini approssimative tratte da un confuso passato idealizzato.
Stalin, tanto per fare un esempio, è salito in gradimento nei sondaggi degli ultimi anni, in cui viene ricordato più per la gloria degli anni addietro che non per i crimini commessi. Oggi la sua faccia da bonario nonno baffuto la si ritrova stampata sulle calamite dei negozi di souvenir, dimostrando ancora una volta la tendenza russa a mitizzare i leader del passato.
Sembra che da queste parti tutto si possa perdonare ai politici tranne il peccato mortale di non dare alla Russia la gloria di grande potenza che i suoi abitanti pensano meriti. Da qua la bassa stima che il russo medio riserva a Gorbaciov, personaggio che nella sinistra europea gode invece di rispetto. La sua colpa fu di aver contribuito a distruggere un sistema senza essere stato in grado di crearne un altro altrettanto funzionante e glorioso. Bisognava dargli tempo, sostengono in Occidente, ma poi è successo quel che è successo e nel paese hanno finito per trionfare leader dal polso duro.
I moderati sono troppo “morbidi” per un paese come la Russia? Forse sì, visto che Putin riscuote ancora un certo successo e non solo entro i confini del paese. Parlando con i russi ho comunque riscontrato pareri fortemente contrastanti a riguardo. Alcuni affermano che Putin è sostenuto per lo più da persone ignoranti che abitano fuori dai grandi centri abitati e che non dispongono di altro mezzo di informazione se non la televisione. Altri dicono invece che il presidente è ciò di cui la Russia ha bisogno: “almeno ha riportato nel paese ordine e crescita economica” e soprattutto, aggiungerei io, gli ha scrollato di dosso l’immagine di un paese alla deriva restituendo invece il suo status nel mondo: l’immagine di una grande potenza che quando serve alza la voce e mostra i muscoli.
Il sincretismo sciovinista di questa linea politica incentrata sul nazionalismo tutto sommato funziona nel tenere insieme un paese traumatizzato da una lunghissima serie di eventi storici con i quali non è affatto facile fare i conti. Dal brutale impero zarista alla guerra civile tra bianchi e rossi, passando per la Rivoluzione d’Ottobre e gli sconvolgenti settantatré anni di sovietismi fatti di tessere annonarie, miti, deportazioni, guerre, glorie e decadenza, la Russia in un solo secolo ne ha viste di tutti i colori. Oggi è un paese aperto al libero mercato e sottomesso con incosciente entusiasmo al capitalismo galoppante.
Dopo tutti questi drammatici cambiamenti, dopo gli sforzi compiuti per costruire un grande sogno, le cocenti delusioni, la caduta di così tanti miti e ideologie, anche qua gran parte della popolazione vuole solo guardare altrove. La gente, forse spinta da un suicida istinto fatalista, tende sempre più a disinteressarsi alla politica, che è percepita come qualcosa quasi di astratto, lontano dalle incombenze quotidiane delle persone. L’uomo comune, disilluso e stanco, finisce con l’abbandonare la politica. Dopo tanta fatica, dopo tante delusioni, dopo tante favole, desidera solo riposare e distrarsi un po’. Non importa con cosa, basta che funzioni, che sia un’evasione dalla realtà. Nulla di nuovo, è la stessa cosa che succede anche da noi. Ma è proprio in quel momento, quando rinuncia, abbindolato da distrazioni e falsi problemi, che l’uomo comune perde.
© 2017, Cristina Cori. All rights reserved. Copyright © CristinaCori.com