Ero partita per la Basilicata pensando in grande.
Ecco più o meno come sarebbe dovuta andare: un tuffo a Maratea, la Rio de Janeiro de noantri, un salto a Craco, il villaggio fantasma adagiato tra le colline di grano maturo e infine tappa a Pisticci, la patria dell’amaro lucano.
Ecco come è andata in realtà: per 6 giorni mi sono trovata, mio malgrado, bloccata a Matera in preda a un frustrante senso di impotenza, perché da queste parti anche fare venti chilometri è un’odissea; un viaggio della speranza con autobus (quando ci sono) privi di coincidenze, in cui non sai se arrivi, figurati se torni.
È chiaro che questa regione, impervia e isolata, la si può percorrere solo in automobile.
Tuttavia questo non è necessariamente un male.

L’altra faccia della medaglia è infatti l’intatto fascino di questa porzione poco conosciuta d’Italia. La difficoltà degli spostamenti contribuisce a proteggere questi luoghi dalla prepotenza delle masse, ne conserva l’atmosfera e custodisce gelosamente i segreti di
quella che un tempo fu la terra dei briganti.
Forse è anche per questo che quando scivolo fin quaggiù mi assale uno strano sentimento che si potrebbe parafrasare così: “so close yet so far” [così vicini, ma al tempo stesso così lontani].
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