“In Russia abbiamo due problemi: gli stupidi e le strade” mi dice Katia, alzando la voce per sovrastare il rumore del motore della vetusta marshrutka sgangherata che salta e traballa vistosamente a ogni buca sulla strada verso il lago Bajkal.
Katia è una giovanissima ragazza di Irkutsk che sta studiando per diventare guida turistica e per fare pratica si è offerta di accompagnarmi in marshrutka (un piccolo minivan che funge da autobus) fino a Listvyanka, cittadina che si affaccia sul Bajkal. Cicciottella, con capelli biondo-rossicci dal taglio da rock star, è una tipa dal temperamento allegro che sembra trovare divertente ogni aspetto della cultura del suo paese.
“Gli stupidi non mancano neanche in Italia, se vi può consolare – la rassicuro io – Quanto alle strade, a Roma stanno messe così male che sono oggetto di promesse durante ogni campagna elettorale”.
“Ah, ma in Russia la situazione delle strade è così disperata che i nostri politici non si scomodano neanche di promettere di sistemarle” ribatte lei e si mette a ridere.
La marshrutka in cui sediamo è particolarmente pittoresca; ha impolverate tendine color lilla con fiocchetti gialli che scendono sui finestrini opachi e qualche problema al tubo di scappamento, che invece di buttare gas fuori dal veicolo ce lo fa respirare dentro, affumicandoci tutti, circa otto persone.
Proseguiamo il nostro viaggio costeggiando le scure foreste siberiane mentre il conducente della nostra marshrutka, affetto da sindrome da sorpasso, con la sua guida eufemisticamente “sportiva” e il vizio di borbottare rabbiosamente ogniqualvolta trova davanti a sé altri automobilisti, sembra non aver alcuna intenzione di rallentare nonostante il manto stradale sia in pessime condizioni.
Se le strade erano il “flagello dell’impero zarista” come disse il marchese Custine in visita nella Russia del 1830, continuarono ad essere il flagello anche dell’impero sovietico dal momento che l’Urss, volendo scoraggiare pratiche individualiste come l’uso delle automobili, non aveva alcuna intenzione di sviluppare una capillare rete stradale. Così, anche se l’homo sovieticus arrivò a dimostrare al mondo intero di essere in grado di viaggiare nello spazio, non riuscì mai a viaggiare in automobile nel proprio paese.
Dalla caduta dell’Urss le cose sono cambiate, almeno un po’. Fino al 1992 le autostrade neanche esistevano poi, con l’aumento delle automobili (da circa 8 milioni del 1990 alle 37 milioni del 2012) si rese necessario aumentare gli investimenti nel settore dei collegamenti stradali. La città russa con la maggiore concentrazione di automobili è Vladivostok, avamposto russo sul Pacifico nonché capolinea della Transiberiana. Qua la vicinanza con il Giappone ha fatto sì che fosse incredibilmente facile comprare macchine di fabbricazione giapponese, che arrivano su navi cargo nell’immenso porto industriale della città. “Secondo le statistiche a Vladivostok ci sono 6 automobili per abitante – mi spiegherà il mio amico Aleksandr, che pur abitandoci ne possiede una sola – e molte di queste hanno il volante a destra, anche se la guida è sulla sinistra”.
Nella Russia di un tempo le strade erano poche e malandate, ma un paese così vasto (si tratta in assoluto della nazione più estesa) aveva bisogno di collegamenti tra le varie province e la capitale. Per questo motivo lo zar Alessandro III si impose di dotare l’impero di una ferrovia che connettesse la Russia europea a quella asiatica. Fu così che nacque l’idea di una grande ferrovia che attraversasse lo sterminato territorio russo e, nel 1891 ebbero inizio i lavori per la realizzazione del tratto ferroviario più lungo al mondo: la Transiberiana.
La ferrovia però si rivelò più costosa del previsto. Succhiò due terzi del bilancio dello Stato e contribuì a far cadere l’impero in bancarotta. Gli ostacoli furono principalmente tecnologici e logistici, ma anche climatici. Quella russa era una società feudale, con una manodopera per lo più agricola e non specializzata in opere di ingegneristica. La scarsità di manodopera fu ovviata impiegando principalmente i condannati ai lavori forzati, motivati promettendo loro uno sconto di pena, e lavoratori stranieri provenienti da Cina e Corea.
La ferrovia doveva attraversare tre dei fiumi più lunghi al mondo, immense foreste selvagge e costeggiare l’enorme lago Bajkal, il tutto in uno dei climi più inospitali della Terra. Solo lo scioglimento dei ghiacci in primavera che causava l’allargamento del letto dei fiumi, costrinse i progettisti a rivedere più volte la tratta. Ogni anno inondazioni e acquitrini sulle piane siberiane minacciavano la ferrovia. Le paludi, di cui la Siberia è piena, sono l’ambiente ideali di moscerini e zanzare che ammalarono gli operai, costretti a lavorare sotto scafandri in cui erano cucite reti di garza.
La costruzione procedette a rilento poiché la stagione lavorativa dovette essere ridotta a quattro mesi a causa del clima gelido che rendeva impossibile la posa dei binari. I vari ostacoli finirono per allungare inaspettatamente i lavori e fecero lievitare i costi e gli ingegneri, chiamati a risparmiare il più possibile, decisero infine di usare materiali scadenti e poco duraturi. Questo fece della Transiberiana uno dei percorsi ferroviari più pericolosi al mondo, con costante rischio di deragliamenti a causa della deformazione dei binari, cedimento di ponti e traversine. Un’indagine degli anni Novanta sulla condizione della rete ferroviaria russa, rivelò che gli acciai utilizzati per la costruzione non erano adatti al rigore climatico delle regioni che essa attraversava.
Ma infine Nicola II, successore di Alessandro III riuscì ad inaugurare la Grande Ferrovia che fu presentata al Padiglione russo dell’Esposizione universale di Parigi del 1900. I modellini esposti presentavano un treno lussuosissimo con tanto di bagni in marmo e salone con pianoforte a coda, nulla di realistico insomma. Al di là delle aspettative di grandiosità pensate per impressionare il pubblico dell’Esposizione di Parigi, la Transiberiana rappresentò il trionfo dell’uomo sulla natura.
Concepita nell’Ottocento con lo scopo primario di trasportare merci e materie prime dalle regioni più remote dell’impero, la rete ferroviaria russa non ha mai puntato all’alta velocità: i treni non superavano i 70 chilometri orari e molto spesso avanzavano a non più di 30 chilometri orari data la precarietà del materiale usato per la costruzione.
Solo nel 2009 la Federazione russa si è dotata di una TAV sulla tratta più frequentata, quella che collega San Pietroburgo a Mosca: il nuovo treno, il Sapsan, ha ridotto da otto a quattro ore il tempo di percorrenza tra le due grandi città.
La Russia sta ora progettando di mettersi in pari sul fronte della tecnologia ferroviaria dotandosi di una rete di treni ad alta velocità per rendere più agevoli gli spostamenti nel suo immenso territorio. Ma se fino a un paio di anni fa il paese era corteggiato da giganti europei come Alstom e Siemens, interessati ad accaparrarsi gli appalti della TAV russa oggi, dopo le sanzioni occidentali, la Russia sta volgendo lo sguardo a oriente. A causa dell’embargo l’Europa perderà una grande opportunità di investimento, mentre a guadagnarci saranno i cinesi che stanno progettando una mastodontica opera di ingegneria ferroviaria: la Nuova Via della Seta.
Il visionario progetto, in cui è stata inserita la Silk Road Economic Belt, prevede la costruzione per scopi commerciali, di una tratta sicura e diretta che colleghi Cina ed Europa passando per Russia e centro Asia. Annunciata ad Astana nel 2013 dall’allora presidente cinese Xi Jinping e riconfermata nel 2014, la Silk Road Economic Belt rientra in un più ampio piano che vedrà la definizione anche di una Maritime Silk Road. Intanto nel marzo 2015 Russia e Cina hanno siglato un accordo per finanziare la tratta Mosca-Kazan, il primo troncone dell’alta velocità che dovrà arrivare fino a Pechino. Un ponte tra Asia ed Europa dunque, un nuovo corridoio economico che moltiplicherà i trasporti da e per il vecchio continente.
Una velocissima ferrovia che andrà a sostituire la tanto romantica e lenta Transiberiana? Forse, anche se il piano delle Nuove Vie della Seta è una strategia prevalentemente economica.
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