Il mio treno per Mosca parte alle 6 del mattino. Mi dirigo verso la stazione attraversando una Ekateriburg silenziosa avvolta da una sottile nebbia che danza tra i massicci palazzi grigi ai lati della strada principale.
Il provodnik del mio vagone è un signore sulla cinquantina con gli occhi azzurri ghiaccio che si diverte a far innervosire la provodnitsa del turno di notte, una poveretta smilza e dall’aria esausta, e racconta barzellette; io non capisco niente, ma sembra siano parecchio divertenti.
I miei vicini di posto, Yulia e Ivan, sono una coppia di allegri turisti russi di ritorno dalle vacanze sul Baikal, che mi fanno vedere le foto del loro viaggio e si divertono a insegnarmi le parolacce in russo: ogni volta che le ripeto si sbellicano dalle risate. A un certo punto, da un sacchetto di plastica nero tirano fuori una bottiglia: “Russian vodka” dice Yulia facendomi l’occhiolino. Sono le 10:24 del mattino, nel vagone fanno 29 gradi, ma loro sono così entusiasti di aver trovato un’italianka con cui condividere la vodka, che mi pare brutto tirarmi indietro. Così comincia il giro dei brindisi. Siccome io vengo da Roma si comincia brindando alla mia città. Ma loro sono di Nizhny Novgorod e si brinda a Nizhny Novgorod. Dove sono diretta io, a Mosca? E si brinda a Mosca! Loro tornano da Irlutsk? Un brindisi a Irkutsk! E avanti così fino a quando non finiamo la bottiglia brindando a tutta la geografia russa.
In Russia la vodka si beve alla goccia nei graneny stachan, i minuscoli bicchierini di vetro a dodici faccette. Qua non si sorseggia, si manda giù il liquore tutto di un fiato e si mangia un cetriolo sottaceto. Si butta giù un altro bicchiere e si trangugia un pezzo di omul (pesce secco proveniente dal Baikal) o di pane nero con cipolla e alici, e così via fino a esaurimento scorte.
In Occidente siamo portati a pensare che il rapporto dei russi con la vodka sia niente più che un luogo comune, un po’ come la fastidiosa filastrocca “italiani: spaghetti e mandolino”. Katia, la ragazza che mi ha fatto da guida a Irkutsk, si dice seccata dal binomio russi-vodka: “Non è vero che beviamo molta vodka, è solo una diceria”. Ma a pensarci bene quest’accoppiata va oltre il pregiudizio. Basta addentrarsi nella storia per capire come questo distillato sia in realtà profondamente legato alla cultura russa.
Si dice che l’alcol sia la ragione per la quale gli slavi pagani si convertirono al cristianesimo. Il principe Vladimir di Kiev, padre della Russia, quando decise di convertire il paese al monoteismo venne corteggiato da inviati, religiosi e uomini di cultura che accorsero alla reggia per pubblicizzare la propria fede. La scelta, sembra, non fu semplice: da una parte l’Islam, che da un punto di vista geopolitico era la più efficace, dall’altra il cristianesimo che imperversava in Europa. La leggenda vuole che fu la proibizione musulmana al consumo di alcol a far pendere la bilancia dalla parte del cristianesimo. “Bere è la gioia dei russi, senza non possiamo vivere!” furono le parole con le quali il saggio monarca sancì la vittoria della religione ortodossa sull’Islam. Nel 988 la Rus’ di Kiev adottò il cristianesimo e divenne provincia ecclesiastica del patriarcato bizantino. Leggenda o meno, questo aneddoto la dice lunga sul rapporto che i russi hanno con l’alcol.
Un rapporto così “intimo” che, nel corso della storia, è stato oggetto di più di una battaglia. Già nel Seicento gli zar, che avevano capito quanto il popolo amasse bere, imposero il monopolio sulla distillazione e la vendita di alcol, assicurandosi così una cospicua entrata nei forzieri dell’Impero. A quanto pare però i russi avevano il fastidioso vizio di ubriacarsi anche in guerra. Lo zar Nicola II allora, infuriato per le scarse prestazioni delle truppe in preda ai postumi dell’alcol durante i combattimenti contro i giapponesi, bandì gli alcolici.
Seguì un periodo di stretto proibizionismo che ebbe conseguenze disastrose: privò l’impero di una buona parte delle entrate e portò la popolazione a destinare il grano alla distillazione abusiva del samogon, un liquore casalingo che si diffuse a macchia d’olio fino agli anni Venti, quando Stalin reintrodusse il monopolio sugli alcolici. Il ripensamento non fu frutto della romantica nostalgia per i bei tempi passati, in cui ci si poteva ubriacare alla luce del giorno, ma una pragmatica decisione di carattere economico. La vendita degli alcolici infatti era il modo più rapido ed efficace per saziare le casse statali cronicamente affamate di moneta.
Quelle di Nicola II e di Lenin non furono le sole campagne anti-alcol che i russi dovettero soffrire. Uno dei primi decreti politici di Gorbaciov fu rivolto proprio al consumo di alcolici. Il segretario di Stato, ancor prima di pensare alla perestrojka avviò una massiccia campagna contro l’alcolismo che, a detta di alcuni, fu l’inizio della sua fine: il primo motivo che lo rese odioso ai russi. Secondo il governo Gorbaciov l’alcolismo era alla base della delinquenza, degli stupri e dell’elevata mortalità della popolazione e dunque una radice da estirpare ancor prima di prendere altre decisioni politiche.
Probabilmente le motivazioni del decreto gorbacioviano non erano così campate in aria come alcuni gli rinfacciano. Infatti secondo un’indagine statistica del 2011 l’elevato tasso di mortalità della Russia (il doppio rispetto al resto dei paesi sviluppati) riguarda principalmente gli uomini ed è dovuto al consumo di superalcolici che oscilla tra i 15 e i 18 litri pro capite l’anno.
Sul treno in corsa verso occidente è calata infine la sera. L’attenzione dei passeggeri si è concentrata verso il centro della vettura dove la provodnitsa sta rimproverando un signore sulla quarantina. Non afferro una sola parola del discorso, ma capisco che la capo vagone è parecchio seccata mentre gesticola animatamente contro il poveretto che mi sembra non presti molta attenzione alla donna. Yulia e Ivan ridacchiano e si scambiano battute in russo. Alla fine mi spiegano, trattenendo le risa, che il passeggero in questione si è addormentato ubriaco fradicio mancando la stazione in cui doveva scendere. Di fronte a lui stanno in piedi la provodnitsa e una donna mora vestita in rosso, quella che dovrebbe viaggiare al posto del passeggero ubriaco, che ancora giace in posizione scomposta rintontito dalla vodka provando a biascicare qualche parola di scusa.
Dallo scompartimento dei capo vagone fa capolino in pigiama il provodnik del turno diurno. Si dirige verso la collega chiedendole quale sia il problema. Lei glielo spiega e lui in tutta risposta si mette a ridere, con grande fastidio della provodnitsa che forse si aspettava di essere aiutata piuttosto che schernita.
© 2017, Cristina Cori. All rights reserved. Copyright © CristinaCori.com