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Tag: Musandam

Visitare la penisola di Musandam, la perla dell’Oman

21 Aprile 202321 Luglio 2023 Cristina CoriMedio Oriente

Nel mio viaggio in Oman ho inserito la visita della penisola di Musandam che rimane un poco isolata dagli itinerari classici omaniti. Tuttavia è fattibile aggiungendo 4 giorni al viaggio in Oman. Perché andarci? Be’, è stata la parte che più mi è piaciuta del Sultanato: natura, mare pazzesco, delfini, fiordi isolati e montagne. Se questi ingredienti ti fanno gola […]

ECCOMI!

Ciao, sono Cristina Cori!
Mezza romana mezza romena, grande passione per gli Orienti e un rapporto conflittuale con la routine e la stasi.
Viaggio a Est e da anni vivo nel Medio Oriente arabo levantino, di cui sono ormai specialista.
Irrequieta e dipendente da viaggi, finisco sempre col trovarmi altrove alla ricerca di stimoli e nuove esperienze: parto spesso, o almeno ci provo.
Ma quando non viaggio, scrivo e quando non scrivo, leggo.

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https://www.facebook.com/viaggiofotograforacconto/

INSTAGRAM

Sono tornata, 2 volte all’arco di un mese, in #giappone , paese materia dei miei studi accademici. Ed ho notato un bel gap da quando ci vivevo. 

Or dunque, ecco cosa è cambiato da quando abitavo a #tokyo : 

1) Il turismo di massa, all’epoca inesistente da queste parti, è approdato anche qua. Con tutti i pro e i contro del caso. 
Luoghi prima deserti o addirittura semi conosciuti, sono oggi affollati di visitatori.

2) Non so se è una conseguenza dell’aumento del turismo, ma ora è più facile trovare giapponesi che parlano l’inglese. Beninteso, il più delle volte alla loro maniera… ma pur sempre meglio rispetto a qualche anno fa quando pure se l’avevano studiato fingevano di non parlarlo per l’ansia da prestazione! 
BONUS: All’epoca per me questo era una benedizione perché mi costringeva a praticare il giapponese che avevo studiato all’università. 

3) Viaggiare è relativamente economico, o almeno, non tremendamente caro come si pensa. Sì, hai letto bene! Più a buon mercato di quanto non lo fosse quando ci abitavo. Banalmente è solo dovuto all’inflazione dello yen rispetto al valore dell’euro. 

4) #harajuku non mi è parso più così genuinamente creativo e #takeshitastreet forse ora vive più della fama di essere stata un tempo quartiere in cui nascevano mode all’avanguardia, gothic lolita et similia. 
#gion (a #kyoto ) è oramai un posto dove in alcune strade è vietato fare foto e le #geisha hanno trovato stratagemmi per sfuggire alla curiosità dei turisti. 

Per il resto, il Giappone è sempre quello stesso adorabile, interessantissimo, elegante, buffo e complesso paese che conobbi quando venni a viverci! 

E tu, ci sei stato in Giappone? Come l’hai trovato? C’è qualcosa che ti incuriosisce di questo paese? 

DIDASCALIA: 
1 #kinkakuji #padiglionedorokyoto 
2 #maiko , apprendiste geisha 
3 #montefuji🗻 visto dallo #shinkansen🚄 
4 pupazzetti in un #ufocatcher di #osaka 
5 Veduta di Tokyo 
6 Incontro di #sumo 
7 #koi (carpe) 
8 #castellodihimeji 
9 #arashiyamabambooforest 
10 #giardini del #santuarioheian (#heianjingu ) 
11 #thatsamore❤️
Sono tornata, 2 volte all’arco di un mese, in #giappone , paese materia dei miei studi accademici. Ed ho notato un bel gap da quando ci vivevo. 

Or dunque, ecco cosa è cambiato da quando abitavo a #tokyo : 

1) Il turismo di massa, all’epoca inesistente da queste parti, è approdato anche qua. Con tutti i pro e i contro del caso. 
Luoghi prima deserti o addirittura semi conosciuti, sono oggi affollati di visitatori.

2) Non so se è una conseguenza dell’aumento del turismo, ma ora è più facile trovare giapponesi che parlano l’inglese. Beninteso, il più delle volte alla loro maniera… ma pur sempre meglio rispetto a qualche anno fa quando pure se l’avevano studiato fingevano di non parlarlo per l’ansia da prestazione! 
BONUS: All’epoca per me questo era una benedizione perché mi costringeva a praticare il giapponese che avevo studiato all’università. 

3) Viaggiare è relativamente economico, o almeno, non tremendamente caro come si pensa. Sì, hai letto bene! Più a buon mercato di quanto non lo fosse quando ci abitavo. Banalmente è solo dovuto all’inflazione dello yen rispetto al valore dell’euro. 

4) #harajuku non mi è parso più così genuinamente creativo e #takeshitastreet forse ora vive più della fama di essere stata un tempo quartiere in cui nascevano mode all’avanguardia, gothic lolita et similia. 
#gion (a #kyoto ) è oramai un posto dove in alcune strade è vietato fare foto e le #geisha hanno trovato stratagemmi per sfuggire alla curiosità dei turisti. 

Per il resto, il Giappone è sempre quello stesso adorabile, interessantissimo, elegante, buffo e complesso paese che conobbi quando venni a viverci! 

E tu, ci sei stato in Giappone? Come l’hai trovato? C’è qualcosa che ti incuriosisce di questo paese? 

DIDASCALIA: 
1 #kinkakuji #padiglionedorokyoto 
2 #maiko , apprendiste geisha 
3 #montefuji🗻 visto dallo #shinkansen🚄 
4 pupazzetti in un #ufocatcher di #osaka 
5 Veduta di Tokyo 
6 Incontro di #sumo 
7 #koi (carpe) 
8 #castellodihimeji 
9 #arashiyamabambooforest 
10 #giardini del #santuarioheian (#heianjingu ) 
11 #thatsamore❤️
Sono tornata, 2 volte all’arco di un mese, in #giappone , paese materia dei miei studi accademici. Ed ho notato un bel gap da quando ci vivevo. 

Or dunque, ecco cosa è cambiato da quando abitavo a #tokyo : 

1) Il turismo di massa, all’epoca inesistente da queste parti, è approdato anche qua. Con tutti i pro e i contro del caso. 
Luoghi prima deserti o addirittura semi conosciuti, sono oggi affollati di visitatori.

2) Non so se è una conseguenza dell’aumento del turismo, ma ora è più facile trovare giapponesi che parlano l’inglese. Beninteso, il più delle volte alla loro maniera… ma pur sempre meglio rispetto a qualche anno fa quando pure se l’avevano studiato fingevano di non parlarlo per l’ansia da prestazione! 
BONUS: All’epoca per me questo era una benedizione perché mi costringeva a praticare il giapponese che avevo studiato all’università. 

3) Viaggiare è relativamente economico, o almeno, non tremendamente caro come si pensa. Sì, hai letto bene! Più a buon mercato di quanto non lo fosse quando ci abitavo. Banalmente è solo dovuto all’inflazione dello yen rispetto al valore dell’euro. 

4) #harajuku non mi è parso più così genuinamente creativo e #takeshitastreet forse ora vive più della fama di essere stata un tempo quartiere in cui nascevano mode all’avanguardia, gothic lolita et similia. 
#gion (a #kyoto ) è oramai un posto dove in alcune strade è vietato fare foto e le #geisha hanno trovato stratagemmi per sfuggire alla curiosità dei turisti. 

Per il resto, il Giappone è sempre quello stesso adorabile, interessantissimo, elegante, buffo e complesso paese che conobbi quando venni a viverci! 

E tu, ci sei stato in Giappone? Come l’hai trovato? C’è qualcosa che ti incuriosisce di questo paese? 

DIDASCALIA: 
1 #kinkakuji #padiglionedorokyoto 
2 #maiko , apprendiste geisha 
3 #montefuji🗻 visto dallo #shinkansen🚄 
4 pupazzetti in un #ufocatcher di #osaka 
5 Veduta di Tokyo 
6 Incontro di #sumo 
7 #koi (carpe) 
8 #castellodihimeji 
9 #arashiyamabambooforest 
10 #giardini del #santuarioheian (#heianjingu ) 
11 #thatsamore❤️
Sono tornata, 2 volte all’arco di un mese, in #giappone , paese materia dei miei studi accademici. Ed ho notato un bel gap da quando ci vivevo. 

Or dunque, ecco cosa è cambiato da quando abitavo a #tokyo : 

1) Il turismo di massa, all’epoca inesistente da queste parti, è approdato anche qua. Con tutti i pro e i contro del caso. 
Luoghi prima deserti o addirittura semi conosciuti, sono oggi affollati di visitatori.

2) Non so se è una conseguenza dell’aumento del turismo, ma ora è più facile trovare giapponesi che parlano l’inglese. Beninteso, il più delle volte alla loro maniera… ma pur sempre meglio rispetto a qualche anno fa quando pure se l’avevano studiato fingevano di non parlarlo per l’ansia da prestazione! 
BONUS: All’epoca per me questo era una benedizione perché mi costringeva a praticare il giapponese che avevo studiato all’università. 

3) Viaggiare è relativamente economico, o almeno, non tremendamente caro come si pensa. Sì, hai letto bene! Più a buon mercato di quanto non lo fosse quando ci abitavo. Banalmente è solo dovuto all’inflazione dello yen rispetto al valore dell’euro. 

4) #harajuku non mi è parso più così genuinamente creativo e #takeshitastreet forse ora vive più della fama di essere stata un tempo quartiere in cui nascevano mode all’avanguardia, gothic lolita et similia. 
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Per il resto, il Giappone è sempre quello stesso adorabile, interessantissimo, elegante, buffo e complesso paese che conobbi quando venni a viverci! 

E tu, ci sei stato in Giappone? Come l’hai trovato? C’è qualcosa che ti incuriosisce di questo paese? 

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7 #koi (carpe) 
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Sono tornata, 2 volte all’arco di un mese, in #giappone , paese materia dei miei studi accademici. Ed ho notato un bel gap da quando ci vivevo. 

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1) Il turismo di massa, all’epoca inesistente da queste parti, è approdato anche qua. Con tutti i pro e i contro del caso. 
Luoghi prima deserti o addirittura semi conosciuti, sono oggi affollati di visitatori.

2) Non so se è una conseguenza dell’aumento del turismo, ma ora è più facile trovare giapponesi che parlano l’inglese. Beninteso, il più delle volte alla loro maniera… ma pur sempre meglio rispetto a qualche anno fa quando pure se l’avevano studiato fingevano di non parlarlo per l’ansia da prestazione! 
BONUS: All’epoca per me questo era una benedizione perché mi costringeva a praticare il giapponese che avevo studiato all’università. 

3) Viaggiare è relativamente economico, o almeno, non tremendamente caro come si pensa. Sì, hai letto bene! Più a buon mercato di quanto non lo fosse quando ci abitavo. Banalmente è solo dovuto all’inflazione dello yen rispetto al valore dell’euro. 

4) #harajuku non mi è parso più così genuinamente creativo e #takeshitastreet forse ora vive più della fama di essere stata un tempo quartiere in cui nascevano mode all’avanguardia, gothic lolita et similia. 
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Per il resto, il Giappone è sempre quello stesso adorabile, interessantissimo, elegante, buffo e complesso paese che conobbi quando venni a viverci! 

E tu, ci sei stato in Giappone? Come l’hai trovato? C’è qualcosa che ti incuriosisce di questo paese? 

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Sono tornata, 2 volte all’arco di un mese, in #giappone , paese materia dei miei studi accademici. Ed ho notato un bel gap da quando ci vivevo. 

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1) Il turismo di massa, all’epoca inesistente da queste parti, è approdato anche qua. Con tutti i pro e i contro del caso. 
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2) Non so se è una conseguenza dell’aumento del turismo, ma ora è più facile trovare giapponesi che parlano l’inglese. Beninteso, il più delle volte alla loro maniera… ma pur sempre meglio rispetto a qualche anno fa quando pure se l’avevano studiato fingevano di non parlarlo per l’ansia da prestazione! 
BONUS: All’epoca per me questo era una benedizione perché mi costringeva a praticare il giapponese che avevo studiato all’università. 

3) Viaggiare è relativamente economico, o almeno, non tremendamente caro come si pensa. Sì, hai letto bene! Più a buon mercato di quanto non lo fosse quando ci abitavo. Banalmente è solo dovuto all’inflazione dello yen rispetto al valore dell’euro. 

4) #harajuku non mi è parso più così genuinamente creativo e #takeshitastreet forse ora vive più della fama di essere stata un tempo quartiere in cui nascevano mode all’avanguardia, gothic lolita et similia. 
#gion (a #kyoto ) è oramai un posto dove in alcune strade è vietato fare foto e le #geisha hanno trovato stratagemmi per sfuggire alla curiosità dei turisti. 

Per il resto, il Giappone è sempre quello stesso adorabile, interessantissimo, elegante, buffo e complesso paese che conobbi quando venni a viverci! 

E tu, ci sei stato in Giappone? Come l’hai trovato? C’è qualcosa che ti incuriosisce di questo paese? 

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1 #kinkakuji #padiglionedorokyoto 
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7 #koi (carpe) 
8 #castellodihimeji 
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Sono tornata, 2 volte all’arco di un mese, in #giappone , paese materia dei miei studi accademici. Ed ho notato un bel gap da quando ci vivevo. 

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1) Il turismo di massa, all’epoca inesistente da queste parti, è approdato anche qua. Con tutti i pro e i contro del caso. 
Luoghi prima deserti o addirittura semi conosciuti, sono oggi affollati di visitatori.

2) Non so se è una conseguenza dell’aumento del turismo, ma ora è più facile trovare giapponesi che parlano l’inglese. Beninteso, il più delle volte alla loro maniera… ma pur sempre meglio rispetto a qualche anno fa quando pure se l’avevano studiato fingevano di non parlarlo per l’ansia da prestazione! 
BONUS: All’epoca per me questo era una benedizione perché mi costringeva a praticare il giapponese che avevo studiato all’università. 

3) Viaggiare è relativamente economico, o almeno, non tremendamente caro come si pensa. Sì, hai letto bene! Più a buon mercato di quanto non lo fosse quando ci abitavo. Banalmente è solo dovuto all’inflazione dello yen rispetto al valore dell’euro. 

4) #harajuku non mi è parso più così genuinamente creativo e #takeshitastreet forse ora vive più della fama di essere stata un tempo quartiere in cui nascevano mode all’avanguardia, gothic lolita et similia. 
#gion (a #kyoto ) è oramai un posto dove in alcune strade è vietato fare foto e le #geisha hanno trovato stratagemmi per sfuggire alla curiosità dei turisti. 

Per il resto, il Giappone è sempre quello stesso adorabile, interessantissimo, elegante, buffo e complesso paese che conobbi quando venni a viverci! 

E tu, ci sei stato in Giappone? Come l’hai trovato? C’è qualcosa che ti incuriosisce di questo paese? 

DIDASCALIA: 
1 #kinkakuji #padiglionedorokyoto 
2 #maiko , apprendiste geisha 
3 #montefuji🗻 visto dallo #shinkansen🚄 
4 pupazzetti in un #ufocatcher di #osaka 
5 Veduta di Tokyo 
6 Incontro di #sumo 
7 #koi (carpe) 
8 #castellodihimeji 
9 #arashiyamabambooforest 
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Sono tornata, 2 volte all’arco di un mese, in #giappone , paese materia dei miei studi accademici. Ed ho notato un bel gap da quando ci vivevo. 

Or dunque, ecco cosa è cambiato da quando abitavo a #tokyo : 

1) Il turismo di massa, all’epoca inesistente da queste parti, è approdato anche qua. Con tutti i pro e i contro del caso. 
Luoghi prima deserti o addirittura semi conosciuti, sono oggi affollati di visitatori.

2) Non so se è una conseguenza dell’aumento del turismo, ma ora è più facile trovare giapponesi che parlano l’inglese. Beninteso, il più delle volte alla loro maniera… ma pur sempre meglio rispetto a qualche anno fa quando pure se l’avevano studiato fingevano di non parlarlo per l’ansia da prestazione! 
BONUS: All’epoca per me questo era una benedizione perché mi costringeva a praticare il giapponese che avevo studiato all’università. 

3) Viaggiare è relativamente economico, o almeno, non tremendamente caro come si pensa. Sì, hai letto bene! Più a buon mercato di quanto non lo fosse quando ci abitavo. Banalmente è solo dovuto all’inflazione dello yen rispetto al valore dell’euro. 

4) #harajuku non mi è parso più così genuinamente creativo e #takeshitastreet forse ora vive più della fama di essere stata un tempo quartiere in cui nascevano mode all’avanguardia, gothic lolita et similia. 
#gion (a #kyoto ) è oramai un posto dove in alcune strade è vietato fare foto e le #geisha hanno trovato stratagemmi per sfuggire alla curiosità dei turisti. 

Per il resto, il Giappone è sempre quello stesso adorabile, interessantissimo, elegante, buffo e complesso paese che conobbi quando venni a viverci! 

E tu, ci sei stato in Giappone? Come l’hai trovato? C’è qualcosa che ti incuriosisce di questo paese? 

DIDASCALIA: 
1 #kinkakuji #padiglionedorokyoto 
2 #maiko , apprendiste geisha 
3 #montefuji🗻 visto dallo #shinkansen🚄 
4 pupazzetti in un #ufocatcher di #osaka 
5 Veduta di Tokyo 
6 Incontro di #sumo 
7 #koi (carpe) 
8 #castellodihimeji 
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10 #giardini del #santuarioheian (#heianjingu ) 
11 #thatsamore❤️
Sono tornata, 2 volte all’arco di un mese, in #giappone , paese materia dei miei studi accademici. Ed ho notato un bel gap da quando ci vivevo. 

Or dunque, ecco cosa è cambiato da quando abitavo a #tokyo : 

1) Il turismo di massa, all’epoca inesistente da queste parti, è approdato anche qua. Con tutti i pro e i contro del caso. 
Luoghi prima deserti o addirittura semi conosciuti, sono oggi affollati di visitatori.

2) Non so se è una conseguenza dell’aumento del turismo, ma ora è più facile trovare giapponesi che parlano l’inglese. Beninteso, il più delle volte alla loro maniera… ma pur sempre meglio rispetto a qualche anno fa quando pure se l’avevano studiato fingevano di non parlarlo per l’ansia da prestazione! 
BONUS: All’epoca per me questo era una benedizione perché mi costringeva a praticare il giapponese che avevo studiato all’università. 

3) Viaggiare è relativamente economico, o almeno, non tremendamente caro come si pensa. Sì, hai letto bene! Più a buon mercato di quanto non lo fosse quando ci abitavo. Banalmente è solo dovuto all’inflazione dello yen rispetto al valore dell’euro. 

4) #harajuku non mi è parso più così genuinamente creativo e #takeshitastreet forse ora vive più della fama di essere stata un tempo quartiere in cui nascevano mode all’avanguardia, gothic lolita et similia. 
#gion (a #kyoto ) è oramai un posto dove in alcune strade è vietato fare foto e le #geisha hanno trovato stratagemmi per sfuggire alla curiosità dei turisti. 

Per il resto, il Giappone è sempre quello stesso adorabile, interessantissimo, elegante, buffo e complesso paese che conobbi quando venni a viverci! 

E tu, ci sei stato in Giappone? Come l’hai trovato? C’è qualcosa che ti incuriosisce di questo paese? 

DIDASCALIA: 
1 #kinkakuji #padiglionedorokyoto 
2 #maiko , apprendiste geisha 
3 #montefuji🗻 visto dallo #shinkansen🚄 
4 pupazzetti in un #ufocatcher di #osaka 
5 Veduta di Tokyo 
6 Incontro di #sumo 
7 #koi (carpe) 
8 #castellodihimeji 
9 #arashiyamabambooforest 
10 #giardini del #santuarioheian (#heianjingu ) 
11 #thatsamore❤️
Sono tornata, 2 volte all’arco di un mese, in #giappone , paese materia dei miei studi accademici. Ed ho notato un bel gap da quando ci vivevo. 

Or dunque, ecco cosa è cambiato da quando abitavo a #tokyo : 

1) Il turismo di massa, all’epoca inesistente da queste parti, è approdato anche qua. Con tutti i pro e i contro del caso. 
Luoghi prima deserti o addirittura semi conosciuti, sono oggi affollati di visitatori.

2) Non so se è una conseguenza dell’aumento del turismo, ma ora è più facile trovare giapponesi che parlano l’inglese. Beninteso, il più delle volte alla loro maniera… ma pur sempre meglio rispetto a qualche anno fa quando pure se l’avevano studiato fingevano di non parlarlo per l’ansia da prestazione! 
BONUS: All’epoca per me questo era una benedizione perché mi costringeva a praticare il giapponese che avevo studiato all’università. 

3) Viaggiare è relativamente economico, o almeno, non tremendamente caro come si pensa. Sì, hai letto bene! Più a buon mercato di quanto non lo fosse quando ci abitavo. Banalmente è solo dovuto all’inflazione dello yen rispetto al valore dell’euro. 

4) #harajuku non mi è parso più così genuinamente creativo e #takeshitastreet forse ora vive più della fama di essere stata un tempo quartiere in cui nascevano mode all’avanguardia, gothic lolita et similia. 
#gion (a #kyoto ) è oramai un posto dove in alcune strade è vietato fare foto e le #geisha hanno trovato stratagemmi per sfuggire alla curiosità dei turisti. 

Per il resto, il Giappone è sempre quello stesso adorabile, interessantissimo, elegante, buffo e complesso paese che conobbi quando venni a viverci! 

E tu, ci sei stato in Giappone? Come l’hai trovato? C’è qualcosa che ti incuriosisce di questo paese? 

DIDASCALIA: 
1 #kinkakuji #padiglionedorokyoto 
2 #maiko , apprendiste geisha 
3 #montefuji🗻 visto dallo #shinkansen🚄 
4 pupazzetti in un #ufocatcher di #osaka 
5 Veduta di Tokyo 
6 Incontro di #sumo 
7 #koi (carpe) 
8 #castellodihimeji 
9 #arashiyamabambooforest 
10 #giardini del #santuarioheian (#heianjingu ) 
11 #thatsamore❤️
Sono tornata, 2 volte all’arco di un mese, in #giappone , paese materia dei miei studi accademici. Ed ho notato un bel gap da quando ci vivevo. 

Or dunque, ecco cosa è cambiato da quando abitavo a #tokyo : 

1) Il turismo di massa, all’epoca inesistente da queste parti, è approdato anche qua. Con tutti i pro e i contro del caso. 
Luoghi prima deserti o addirittura semi conosciuti, sono oggi affollati di visitatori.

2) Non so se è una conseguenza dell’aumento del turismo, ma ora è più facile trovare giapponesi che parlano l’inglese. Beninteso, il più delle volte alla loro maniera… ma pur sempre meglio rispetto a qualche anno fa quando pure se l’avevano studiato fingevano di non parlarlo per l’ansia da prestazione! 
BONUS: All’epoca per me questo era una benedizione perché mi costringeva a praticare il giapponese che avevo studiato all’università. 

3) Viaggiare è relativamente economico, o almeno, non tremendamente caro come si pensa. Sì, hai letto bene! Più a buon mercato di quanto non lo fosse quando ci abitavo. Banalmente è solo dovuto all’inflazione dello yen rispetto al valore dell’euro. 

4) #harajuku non mi è parso più così genuinamente creativo e #takeshitastreet forse ora vive più della fama di essere stata un tempo quartiere in cui nascevano mode all’avanguardia, gothic lolita et similia. 
#gion (a #kyoto ) è oramai un posto dove in alcune strade è vietato fare foto e le #geisha hanno trovato stratagemmi per sfuggire alla curiosità dei turisti. 

Per il resto, il Giappone è sempre quello stesso adorabile, interessantissimo, elegante, buffo e complesso paese che conobbi quando venni a viverci! 

E tu, ci sei stato in Giappone? Come l’hai trovato? C’è qualcosa che ti incuriosisce di questo paese? 

DIDASCALIA: 
1 #kinkakuji #padiglionedorokyoto 
2 #maiko , apprendiste geisha 
3 #montefuji🗻 visto dallo #shinkansen🚄 
4 pupazzetti in un #ufocatcher di #osaka 
5 Veduta di Tokyo 
6 Incontro di #sumo 
7 #koi (carpe) 
8 #castellodihimeji 
9 #arashiyamabambooforest 
10 #giardini del #santuarioheian (#heianjingu ) 
11 #thatsamore❤️
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Sono tornata, 2 volte all’arco di un mese, in #giappone , paese materia dei miei studi accademici. Ed ho notato un bel gap da quando ci vivevo. Or dunque, ecco cosa è cambiato da quando abitavo a #tokyo : 1) Il turismo di massa, all’epoca inesistente da queste parti, è approdato anche qua. Con tutti i pro e i contro del caso. Luoghi prima deserti o addirittura semi conosciuti, sono oggi affollati di visitatori. 2) Non so se è una conseguenza dell’aumento del turismo, ma ora è più facile trovare giapponesi che parlano l’inglese. Beninteso, il più delle volte alla loro maniera… ma pur sempre meglio rispetto a qualche anno fa quando pure se l’avevano studiato fingevano di non parlarlo per l’ansia da prestazione! BONUS: All’epoca per me questo era una benedizione perché mi costringeva a praticare il giapponese che avevo studiato all’università. 3) Viaggiare è relativamente economico, o almeno, non tremendamente caro come si pensa. Sì, hai letto bene! Più a buon mercato di quanto non lo fosse quando ci abitavo. Banalmente è solo dovuto all’inflazione dello yen rispetto al valore dell’euro. 4) #harajuku non mi è parso più così genuinamente creativo e #takeshitastreet forse ora vive più della fama di essere stata un tempo quartiere in cui nascevano mode all’avanguardia, gothic lolita et similia. #gion (a #kyoto ) è oramai un posto dove in alcune strade è vietato fare foto e le #geisha hanno trovato stratagemmi per sfuggire alla curiosità dei turisti. Per il resto, il Giappone è sempre quello stesso adorabile, interessantissimo, elegante, buffo e complesso paese che conobbi quando venni a viverci! E tu, ci sei stato in Giappone? Come l’hai trovato? C’è qualcosa che ti incuriosisce di questo paese? DIDASCALIA: 1 #kinkakuji #padiglionedorokyoto 2 #maiko , apprendiste geisha 3 #montefuji🗻 visto dallo #shinkansen🚄 4 pupazzetti in un #ufocatcher di #osaka 5 Veduta di Tokyo 6 Incontro di #sumo 7 #koi (carpe) 8 #castellodihimeji 9 #arashiyamabambooforest 10 #giardini del #santuarioheian (#heianjingu ) 11 #thatsamore❤️
3 settimane ago
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1/12
Il santuario scintoista di #fushimiinari , a Kyoto, è uno dei più suggestivi di tutto il Giappone. 
Dedicato alla divinità del riso e dell’agricoltura, attraverso il suo percorso segnato da 10000 #torii ⛩️ (portali sacri), si inerpica su un’altura ammantata da un bosco fitto da cui si può ammirare la città. 

Le volpi, in giapponese #kitsune , considerate mediatrici della divinità, sono rappresentate con un fascio di riso o una chiave (simbolo di accesso ai depositi di riso) nelle fauci. 

Se venite a #kyoto non potete mancare questo luogo incredibile! 

Ci siete stati? E/o vi ispira? 

#giappone🇯🇵 #santuario #shinto #yamato
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Il santuario scintoista di #fushimiinari , a Kyoto, è uno dei più suggestivi di tutto il Giappone. Dedicato alla divinità del riso e dell’agricoltura, attraverso il suo percorso segnato da 10000 #torii ⛩️ (portali sacri), si inerpica su un’altura ammantata da un bosco fitto da cui si può ammirare la città. Le volpi, in giapponese #kitsune , considerate mediatrici della divinità, sono rappresentate con un fascio di riso o una chiave (simbolo di accesso ai depositi di riso) nelle fauci. Se venite a #kyoto non potete mancare questo luogo incredibile! Ci siete stati? E/o vi ispira? #giappone🇯🇵 #santuario #shinto #yamato
1 mese ago
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2/12
Siamo quelli delle decisioni di pancia
Siamo quelli che meglio oggi che domani
Siamo quelli che “l’intuito non sbaglia mai” 
Siamo quelli che sorridono a piedi scalzi sulla sabbia 
Siamo quelli che ballano sotto la pioggia
Siamo quelli che “punto alla luna, se cado finisco in braccio alle stelle” 
Siamo quelli che tramutano le difficoltà in opportunità
Siamo quelli che vogliono i sogni perché “le solide realtà fanno schifo” (cit.) 

Le vite sono belle piene, non perfette. 

Scrivo questo post dopo aver rifiutato una collaborazione perché mi chiedeva esclusività. E i vincoli non mi piacciono.
Lo scrivo ora che mi trovo in difficoltà perché ho scelto una modalità di vita fatta di montagne russe in cui non ho uno stipendio fisso assicurato e trovarmi clienti e collaboratori dipende da me. Non ho tutele: se sto male e non lavoro non mi paga nessuno, giorni di riposo e ferie ce le ho solo se me le posso permettere. 

Prima di invidiare qualcuno, o di dire “che bella la vita tua” (che poi a Roma suona come una presa per il c**o 😅) pensate se dietro le quinte di quella scelta si cela un compromesso per il quale voi non siete tagliati. 

Non è tutto oro quello che luccica. Ma qua, si sa, si tende a condividere solo gli scintillii che accecano le ombre. Non è che le ombre certe vite non ce l’hanno. Il segreto è brillare nonostante il buio. 

Vabbè, detto questo, io tra qualche giorno sono in partenza per un’altra avventura. Ci si vede lì, dall’altra parte del mondo, ok? 

Ma soprattutto, tu, che ne pensi?
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Siamo quelli delle decisioni di pancia Siamo quelli che meglio oggi che domani Siamo quelli che “l’intuito non sbaglia mai” Siamo quelli che sorridono a piedi scalzi sulla sabbia Siamo quelli che ballano sotto la pioggia Siamo quelli che “punto alla luna, se cado finisco in braccio alle stelle” Siamo quelli che tramutano le difficoltà in opportunità Siamo quelli che vogliono i sogni perché “le solide realtà fanno schifo” (cit.) Le vite sono belle piene, non perfette. Scrivo questo post dopo aver rifiutato una collaborazione perché mi chiedeva esclusività. E i vincoli non mi piacciono. Lo scrivo ora che mi trovo in difficoltà perché ho scelto una modalità di vita fatta di montagne russe in cui non ho uno stipendio fisso assicurato e trovarmi clienti e collaboratori dipende da me. Non ho tutele: se sto male e non lavoro non mi paga nessuno, giorni di riposo e ferie ce le ho solo se me le posso permettere. Prima di invidiare qualcuno, o di dire “che bella la vita tua” (che poi a Roma suona come una presa per il c**o 😅) pensate se dietro le quinte di quella scelta si cela un compromesso per il quale voi non siete tagliati. Non è tutto oro quello che luccica. Ma qua, si sa, si tende a condividere solo gli scintillii che accecano le ombre. Non è che le ombre certe vite non ce l’hanno. Il segreto è brillare nonostante il buio. Vabbè, detto questo, io tra qualche giorno sono in partenza per un’altra avventura. Ci si vede lì, dall’altra parte del mondo, ok? Ma soprattutto, tu, che ne pensi?
2 mesi ago
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3/12
Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

[il racconto continua nel primo commento perché IG, considerandoci analfabeti che sanno solo guardare foto, mette un limite di caratteri alla caption 😐]
Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

[il racconto continua nel primo commento perché IG, considerandoci analfabeti che sanno solo guardare foto, mette un limite di caratteri alla caption 😐]
Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

[il racconto continua nel primo commento perché IG, considerandoci analfabeti che sanno solo guardare foto, mette un limite di caratteri alla caption 😐]
Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

[il racconto continua nel primo commento perché IG, considerandoci analfabeti che sanno solo guardare foto, mette un limite di caratteri alla caption 😐]
Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

[il racconto continua nel primo commento perché IG, considerandoci analfabeti che sanno solo guardare foto, mette un limite di caratteri alla caption 😐]
Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

[il racconto continua nel primo commento perché IG, considerandoci analfabeti che sanno solo guardare foto, mette un limite di caratteri alla caption 😐]
Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

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Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”. Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. [il racconto continua nel primo commento perché IG, considerandoci analfabeti che sanno solo guardare foto, mette un limite di caratteri alla caption 😐]
3 mesi ago
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4/12
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

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#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

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Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure 2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua 4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi… 5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f non taggo altre persone 😅 P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. #georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
4 mesi ago
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5/12
STRALCI DI DIARI DI UN RITORNO IN GIORDANIA
I miei ritorni in Giordania sono ormai esasperanti. Mi drenano una quantità di energia che non ho più. 

C’è stato tanto tra me e questo paese. Nonostante le disillusioni, la fatica e la rabbia che ancora spurgo non riesco a non essere legata a questa terra. 
Però qualcosa si è incrinato. Si è aperta una crepa che non avrei pensato si sarebbe allargata così tanto. 

Petra non mi suscita più le emozioni di una volta. Sono cambiata io, indubbiamente, ma è cambiata anche lei. 
L’ho trovata “ripulita”, senza l’atmosfera e la vitalità genuina che la caratterizzavano. E per me non è più un luogo magico… quella “vita segreta di Petra” di cui parlo nel mio libro si è spenta. Ora è solo un sito archeologico. 

Mi ha fatto piacere rivedere alcuni amici, alcuni luoghi, raccontare della sua storia millenaria a una cara amica italiana con cui ho ripercorso i luoghi del cuore. Però il cuore era vuoto. Le emozioni spente. 

Poi mi sono scontrata ancora una volta con la burocrazia di qua. La burocrazia, questo mostro tentacolare a più teste (tutte vuote a giudicare dalla mia esperienza) che sputa fiamme. 

E seppure è vero che arrabbiarsi è deleterio perché “quando ti arrabbi stai infliggendo una punizione a te stesso per qualcosa che hanno fatto gli altri”, mi chiedo: come si fa a ignorare questo sentimento se ti portano all’esasperazione? La tecnica romana dello sticazzi qua non funziona sempre bene perché spesso ciò che vorresti far rientrare nella categoria puoi travestirlo in uno sticazzi sul momento, ma la ferita te la infligge. E questo graffio si va a sommare a tanti piccoli torti che a lungo andare logorano fino a saturarti.

Sensazione di impotenza. Contro l’ignoranza e contro abitudini marce perpetuate dure a morire. 

Me ne torno in Italia ancora una volta da perdente. E sebbene la mia psicoterapeuta mi fa notare che non è una guerra, per me continua ad esserlo. 
Insomma, non è andata come avrei sperato e me ne vado cercando di mettere a tacere tante voci che gridano. 

Un abbraccio a voi che mi avete seguito e supportato nel mio racconto scostante da qua. Se vi va di dirmi qualcosa, vi leggo nei commenti.
STRALCI DI DIARI DI UN RITORNO IN GIORDANIA
I miei ritorni in Giordania sono ormai esasperanti. Mi drenano una quantità di energia che non ho più. 

C’è stato tanto tra me e questo paese. Nonostante le disillusioni, la fatica e la rabbia che ancora spurgo non riesco a non essere legata a questa terra. 
Però qualcosa si è incrinato. Si è aperta una crepa che non avrei pensato si sarebbe allargata così tanto. 

Petra non mi suscita più le emozioni di una volta. Sono cambiata io, indubbiamente, ma è cambiata anche lei. 
L’ho trovata “ripulita”, senza l’atmosfera e la vitalità genuina che la caratterizzavano. E per me non è più un luogo magico… quella “vita segreta di Petra” di cui parlo nel mio libro si è spenta. Ora è solo un sito archeologico. 

Mi ha fatto piacere rivedere alcuni amici, alcuni luoghi, raccontare della sua storia millenaria a una cara amica italiana con cui ho ripercorso i luoghi del cuore. Però il cuore era vuoto. Le emozioni spente. 

Poi mi sono scontrata ancora una volta con la burocrazia di qua. La burocrazia, questo mostro tentacolare a più teste (tutte vuote a giudicare dalla mia esperienza) che sputa fiamme. 

E seppure è vero che arrabbiarsi è deleterio perché “quando ti arrabbi stai infliggendo una punizione a te stesso per qualcosa che hanno fatto gli altri”, mi chiedo: come si fa a ignorare questo sentimento se ti portano all’esasperazione? La tecnica romana dello sticazzi qua non funziona sempre bene perché spesso ciò che vorresti far rientrare nella categoria puoi travestirlo in uno sticazzi sul momento, ma la ferita te la infligge. E questo graffio si va a sommare a tanti piccoli torti che a lungo andare logorano fino a saturarti.

Sensazione di impotenza. Contro l’ignoranza e contro abitudini marce perpetuate dure a morire. 

Me ne torno in Italia ancora una volta da perdente. E sebbene la mia psicoterapeuta mi fa notare che non è una guerra, per me continua ad esserlo. 
Insomma, non è andata come avrei sperato e me ne vado cercando di mettere a tacere tante voci che gridano. 

Un abbraccio a voi che mi avete seguito e supportato nel mio racconto scostante da qua. Se vi va di dirmi qualcosa, vi leggo nei commenti.
STRALCI DI DIARI DI UN RITORNO IN GIORDANIA
I miei ritorni in Giordania sono ormai esasperanti. Mi drenano una quantità di energia che non ho più. 

C’è stato tanto tra me e questo paese. Nonostante le disillusioni, la fatica e la rabbia che ancora spurgo non riesco a non essere legata a questa terra. 
Però qualcosa si è incrinato. Si è aperta una crepa che non avrei pensato si sarebbe allargata così tanto. 

Petra non mi suscita più le emozioni di una volta. Sono cambiata io, indubbiamente, ma è cambiata anche lei. 
L’ho trovata “ripulita”, senza l’atmosfera e la vitalità genuina che la caratterizzavano. E per me non è più un luogo magico… quella “vita segreta di Petra” di cui parlo nel mio libro si è spenta. Ora è solo un sito archeologico. 

Mi ha fatto piacere rivedere alcuni amici, alcuni luoghi, raccontare della sua storia millenaria a una cara amica italiana con cui ho ripercorso i luoghi del cuore. Però il cuore era vuoto. Le emozioni spente. 

Poi mi sono scontrata ancora una volta con la burocrazia di qua. La burocrazia, questo mostro tentacolare a più teste (tutte vuote a giudicare dalla mia esperienza) che sputa fiamme. 

E seppure è vero che arrabbiarsi è deleterio perché “quando ti arrabbi stai infliggendo una punizione a te stesso per qualcosa che hanno fatto gli altri”, mi chiedo: come si fa a ignorare questo sentimento se ti portano all’esasperazione? La tecnica romana dello sticazzi qua non funziona sempre bene perché spesso ciò che vorresti far rientrare nella categoria puoi travestirlo in uno sticazzi sul momento, ma la ferita te la infligge. E questo graffio si va a sommare a tanti piccoli torti che a lungo andare logorano fino a saturarti.

Sensazione di impotenza. Contro l’ignoranza e contro abitudini marce perpetuate dure a morire. 

Me ne torno in Italia ancora una volta da perdente. E sebbene la mia psicoterapeuta mi fa notare che non è una guerra, per me continua ad esserlo. 
Insomma, non è andata come avrei sperato e me ne vado cercando di mettere a tacere tante voci che gridano. 

Un abbraccio a voi che mi avete seguito e supportato nel mio racconto scostante da qua. Se vi va di dirmi qualcosa, vi leggo nei commenti.
STRALCI DI DIARI DI UN RITORNO IN GIORDANIA
I miei ritorni in Giordania sono ormai esasperanti. Mi drenano una quantità di energia che non ho più. 

C’è stato tanto tra me e questo paese. Nonostante le disillusioni, la fatica e la rabbia che ancora spurgo non riesco a non essere legata a questa terra. 
Però qualcosa si è incrinato. Si è aperta una crepa che non avrei pensato si sarebbe allargata così tanto. 

Petra non mi suscita più le emozioni di una volta. Sono cambiata io, indubbiamente, ma è cambiata anche lei. 
L’ho trovata “ripulita”, senza l’atmosfera e la vitalità genuina che la caratterizzavano. E per me non è più un luogo magico… quella “vita segreta di Petra” di cui parlo nel mio libro si è spenta. Ora è solo un sito archeologico. 

Mi ha fatto piacere rivedere alcuni amici, alcuni luoghi, raccontare della sua storia millenaria a una cara amica italiana con cui ho ripercorso i luoghi del cuore. Però il cuore era vuoto. Le emozioni spente. 

Poi mi sono scontrata ancora una volta con la burocrazia di qua. La burocrazia, questo mostro tentacolare a più teste (tutte vuote a giudicare dalla mia esperienza) che sputa fiamme. 

E seppure è vero che arrabbiarsi è deleterio perché “quando ti arrabbi stai infliggendo una punizione a te stesso per qualcosa che hanno fatto gli altri”, mi chiedo: come si fa a ignorare questo sentimento se ti portano all’esasperazione? La tecnica romana dello sticazzi qua non funziona sempre bene perché spesso ciò che vorresti far rientrare nella categoria puoi travestirlo in uno sticazzi sul momento, ma la ferita te la infligge. E questo graffio si va a sommare a tanti piccoli torti che a lungo andare logorano fino a saturarti.

Sensazione di impotenza. Contro l’ignoranza e contro abitudini marce perpetuate dure a morire. 

Me ne torno in Italia ancora una volta da perdente. E sebbene la mia psicoterapeuta mi fa notare che non è una guerra, per me continua ad esserlo. 
Insomma, non è andata come avrei sperato e me ne vado cercando di mettere a tacere tante voci che gridano. 

Un abbraccio a voi che mi avete seguito e supportato nel mio racconto scostante da qua. Se vi va di dirmi qualcosa, vi leggo nei commenti.
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STRALCI DI DIARI DI UN RITORNO IN GIORDANIA I miei ritorni in Giordania sono ormai esasperanti. Mi drenano una quantità di energia che non ho più. C’è stato tanto tra me e questo paese. Nonostante le disillusioni, la fatica e la rabbia che ancora spurgo non riesco a non essere legata a questa terra. Però qualcosa si è incrinato. Si è aperta una crepa che non avrei pensato si sarebbe allargata così tanto. Petra non mi suscita più le emozioni di una volta. Sono cambiata io, indubbiamente, ma è cambiata anche lei. L’ho trovata “ripulita”, senza l’atmosfera e la vitalità genuina che la caratterizzavano. E per me non è più un luogo magico… quella “vita segreta di Petra” di cui parlo nel mio libro si è spenta. Ora è solo un sito archeologico. Mi ha fatto piacere rivedere alcuni amici, alcuni luoghi, raccontare della sua storia millenaria a una cara amica italiana con cui ho ripercorso i luoghi del cuore. Però il cuore era vuoto. Le emozioni spente. Poi mi sono scontrata ancora una volta con la burocrazia di qua. La burocrazia, questo mostro tentacolare a più teste (tutte vuote a giudicare dalla mia esperienza) che sputa fiamme. E seppure è vero che arrabbiarsi è deleterio perché “quando ti arrabbi stai infliggendo una punizione a te stesso per qualcosa che hanno fatto gli altri”, mi chiedo: come si fa a ignorare questo sentimento se ti portano all’esasperazione? La tecnica romana dello sticazzi qua non funziona sempre bene perché spesso ciò che vorresti far rientrare nella categoria puoi travestirlo in uno sticazzi sul momento, ma la ferita te la infligge. E questo graffio si va a sommare a tanti piccoli torti che a lungo andare logorano fino a saturarti. Sensazione di impotenza. Contro l’ignoranza e contro abitudini marce perpetuate dure a morire. Me ne torno in Italia ancora una volta da perdente. E sebbene la mia psicoterapeuta mi fa notare che non è una guerra, per me continua ad esserlo. Insomma, non è andata come avrei sperato e me ne vado cercando di mettere a tacere tante voci che gridano. Un abbraccio a voi che mi avete seguito e supportato nel mio racconto scostante da qua. Se vi va di dirmi qualcosa, vi leggo nei commenti.
6 mesi ago
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6/12
“Possano i fiori ricordarci perché la pioggia era così necessaria” 

La primavera è la magia della rinascita. 
Se l’autunno ci insegna a lasciar andare, e l’inverno a fermarci per ricaricarci, la primavera è la maestra della pazienza e della fede. 
La natura ha sempre ragione. 

Buon equinozio di primavera da questa parte di mondo (che poi a quanto pare era ieri perché boh, non c’è più religione)! 

#primavera #belgrado #rinascita #natura #viaggiofotograforacconto #serbia #stagioni
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“Possano i fiori ricordarci perché la pioggia era così necessaria” La primavera è la magia della rinascita. Se l’autunno ci insegna a lasciar andare, e l’inverno a fermarci per ricaricarci, la primavera è la maestra della pazienza e della fede. La natura ha sempre ragione. Buon equinozio di primavera da questa parte di mondo (che poi a quanto pare era ieri perché boh, non c’è più religione)! #primavera #belgrado #rinascita #natura #viaggiofotograforacconto #serbia #stagioni
6 mesi ago
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7/12
🖤 5 CURIOSITÀ SU SARAJEVO, LA GERUSALEMME D’EUROPA 🤍

1) 🕊️Sarajevo è detta la “Gerusalemme d’Europa” perché nella città hanno per secoli convissuto pacificamente i tre monoteismi. 
Nello stesso quartiere si possono trovare una moschea, una chiesa e una sinagoga. 

2) 🚋 Il primo tram della storia entrò in funzione a Sarajevo nel 1885 quando la città faceva parte dell’impero austroungarico. 
Si trattava di un esperimento per verificarne la fattibilità prima di installare una via tranviaria a Vienna. 

3) 🪦 Il cimitero ebraico di Sarajevo, adagiato sulla collina Kovačići, è il secondo più grande d’Europa dopo quello di Praga. 

4) 🥀 Passeggiando per le strade di Sarajevo potrete imbattervi in piccoli crateri sull’asfalto decorati con schizzi di resina rossa. Sembrano delle rose rosse (da cui il nome), ma non hanno nulla di romantico: sono invece legate all’assedio della città del 1992. Sono delle installazioni che segnano i luoghi in cui sono morte delle persone a causa delle granate. 
L’idea nacque emulando il gesto un padre che, di fronte alla cattedrale, dipinse di rosso il buco dove sua figlia perse la vita.

5) 🍻 Molti abitanti di Sarajevo sono musulmani, ma la città ha un rapporto molto rilassato con il consumo di alcol. Infatti qua si trova la fabbrica della birra nazionale: la Sarajevska Pivara… che udite, udite, non solo fu il primo birrificio dell’Impero Ottomano, ma non è niente male! 

6) ⛲️ Se per far ritorno a Roma bisogna lanciare una monetina nella fontana di Trevi, per tornare a Sarajevo basta bere da una delle sue fontane. 
Un tempo di fontane pubbliche ce ne erano ben 110! 

Conoscevate queste curiosità di Sarajevo? 
Se ne sapete altre scrivetemele nei commenti 👇 

#sarajevo #bosnia #bosniaeherzegovina #balcani #capitalibalcaniche #viaggiofotograforacconto #esteuropa #exjugoslavia #gerusalemmedeuropa
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🖤 5 CURIOSITÀ SU SARAJEVO, LA GERUSALEMME D’EUROPA 🤍 1) 🕊️Sarajevo è detta la “Gerusalemme d’Europa” perché nella città hanno per secoli convissuto pacificamente i tre monoteismi. Nello stesso quartiere si possono trovare una moschea, una chiesa e una sinagoga. 2) 🚋 Il primo tram della storia entrò in funzione a Sarajevo nel 1885 quando la città faceva parte dell’impero austroungarico. Si trattava di un esperimento per verificarne la fattibilità prima di installare una via tranviaria a Vienna. 3) 🪦 Il cimitero ebraico di Sarajevo, adagiato sulla collina Kovačići, è il secondo più grande d’Europa dopo quello di Praga. 4) 🥀 Passeggiando per le strade di Sarajevo potrete imbattervi in piccoli crateri sull’asfalto decorati con schizzi di resina rossa. Sembrano delle rose rosse (da cui il nome), ma non hanno nulla di romantico: sono invece legate all’assedio della città del 1992. Sono delle installazioni che segnano i luoghi in cui sono morte delle persone a causa delle granate. L’idea nacque emulando il gesto un padre che, di fronte alla cattedrale, dipinse di rosso il buco dove sua figlia perse la vita. 5) 🍻 Molti abitanti di Sarajevo sono musulmani, ma la città ha un rapporto molto rilassato con il consumo di alcol. Infatti qua si trova la fabbrica della birra nazionale: la Sarajevska Pivara… che udite, udite, non solo fu il primo birrificio dell’Impero Ottomano, ma non è niente male! 6) ⛲️ Se per far ritorno a Roma bisogna lanciare una monetina nella fontana di Trevi, per tornare a Sarajevo basta bere da una delle sue fontane. Un tempo di fontane pubbliche ce ne erano ben 110! Conoscevate queste curiosità di Sarajevo? Se ne sapete altre scrivetemele nei commenti 👇 #sarajevo #bosnia #bosniaeherzegovina #balcani #capitalibalcaniche #viaggiofotograforacconto #esteuropa #exjugoslavia #gerusalemmedeuropa
7 mesi ago
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8/12
Trovare le parole per descrivere Sarajevo è impegnativo anche per me. 
Allora ho pensato di prenderle in prestito da Ivo Andrić. Ovvero dall’autore bosniaco premio Nobel che forse meglio di chiunque altro è riuscito a trasformare in parole questo crocevia di sfumature culturali chiamato Bosnia. 

Quindi questa volta le didascalie delle mie foto escono dalla sua penna: 

1 È vero che la nostra gente cominciava ad assomigliare sempre più agli stranieri occupanti, ma nemmeno gli stranieri erano immuni all’ambiente. Neppure gli stranieri potevano sottrarsi all’influenza della società orientale dove erano costretti a vivere. 

2 È il rumore del fiume Miljacka che riempie il giorno e la notte, senza sosta. Quel suono che durante l’estate, quando c’è poca acqua, è sottile e penetrante, mentre in autunno e inverno è cupo e più profondo, è una parte essenziale del loro silenzio. 

3 Stjepan Ković osserva il suo giudeo ed è scontento di sé e del suo “giudeo”. Evidentemente, né questo è un vero ebreo come se lo immaginava, né lui è un ustascia come voleva essere.
Nessuna traccia di quel ricco ebreo insolente di cui sognava. Invano sforza la memoria per ricordarsi di qualche dettaglio grave e malvagio che possa rinfocolare in lui la rabbia. 

4 Queste tre case, silenziose e poco illuminate, sembrano come tramortite, ma la loro apparenza inganna. In ognuna di loro ci sono vita e inquietudini, se non nei movimenti, certamente nei pensieri e nelle parole. 

5 Ci sono momenti in cui anche la personalità più risoluta si spezza e in cui né la forza, né il sangue freddo, né l’educazione possono fare niente. 

6 Si addensava il buio sopra Sarajevo e si accendevano piccole luci. Veniva il turno dei “pensieri notturni”. 

Dei libri su Sarajevo, tra cui alcuni di Ivo Andrić, ho scritto un articolo sul blog. Sbirciate nel mio sito o googlate “Libri su Sarajevo”. 
E se ne conoscete altri libri su Sarajevo fatemelo sapere please 🙏 👇 

#sarajevo #bosnia #balcani #croceviadiculture #ilovesarajevo #visitsarajevo #esteuropa #ivoandric
Trovare le parole per descrivere Sarajevo è impegnativo anche per me. 
Allora ho pensato di prenderle in prestito da Ivo Andrić. Ovvero dall’autore bosniaco premio Nobel che forse meglio di chiunque altro è riuscito a trasformare in parole questo crocevia di sfumature culturali chiamato Bosnia. 

Quindi questa volta le didascalie delle mie foto escono dalla sua penna: 

1 È vero che la nostra gente cominciava ad assomigliare sempre più agli stranieri occupanti, ma nemmeno gli stranieri erano immuni all’ambiente. Neppure gli stranieri potevano sottrarsi all’influenza della società orientale dove erano costretti a vivere. 

2 È il rumore del fiume Miljacka che riempie il giorno e la notte, senza sosta. Quel suono che durante l’estate, quando c’è poca acqua, è sottile e penetrante, mentre in autunno e inverno è cupo e più profondo, è una parte essenziale del loro silenzio. 

3 Stjepan Ković osserva il suo giudeo ed è scontento di sé e del suo “giudeo”. Evidentemente, né questo è un vero ebreo come se lo immaginava, né lui è un ustascia come voleva essere.
Nessuna traccia di quel ricco ebreo insolente di cui sognava. Invano sforza la memoria per ricordarsi di qualche dettaglio grave e malvagio che possa rinfocolare in lui la rabbia. 

4 Queste tre case, silenziose e poco illuminate, sembrano come tramortite, ma la loro apparenza inganna. In ognuna di loro ci sono vita e inquietudini, se non nei movimenti, certamente nei pensieri e nelle parole. 

5 Ci sono momenti in cui anche la personalità più risoluta si spezza e in cui né la forza, né il sangue freddo, né l’educazione possono fare niente. 

6 Si addensava il buio sopra Sarajevo e si accendevano piccole luci. Veniva il turno dei “pensieri notturni”. 

Dei libri su Sarajevo, tra cui alcuni di Ivo Andrić, ho scritto un articolo sul blog. Sbirciate nel mio sito o googlate “Libri su Sarajevo”. 
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Allora ho pensato di prenderle in prestito da Ivo Andrić. Ovvero dall’autore bosniaco premio Nobel che forse meglio di chiunque altro è riuscito a trasformare in parole questo crocevia di sfumature culturali chiamato Bosnia. 

Quindi questa volta le didascalie delle mie foto escono dalla sua penna: 

1 È vero che la nostra gente cominciava ad assomigliare sempre più agli stranieri occupanti, ma nemmeno gli stranieri erano immuni all’ambiente. Neppure gli stranieri potevano sottrarsi all’influenza della società orientale dove erano costretti a vivere. 

2 È il rumore del fiume Miljacka che riempie il giorno e la notte, senza sosta. Quel suono che durante l’estate, quando c’è poca acqua, è sottile e penetrante, mentre in autunno e inverno è cupo e più profondo, è una parte essenziale del loro silenzio. 

3 Stjepan Ković osserva il suo giudeo ed è scontento di sé e del suo “giudeo”. Evidentemente, né questo è un vero ebreo come se lo immaginava, né lui è un ustascia come voleva essere.
Nessuna traccia di quel ricco ebreo insolente di cui sognava. Invano sforza la memoria per ricordarsi di qualche dettaglio grave e malvagio che possa rinfocolare in lui la rabbia. 

4 Queste tre case, silenziose e poco illuminate, sembrano come tramortite, ma la loro apparenza inganna. In ognuna di loro ci sono vita e inquietudini, se non nei movimenti, certamente nei pensieri e nelle parole. 

5 Ci sono momenti in cui anche la personalità più risoluta si spezza e in cui né la forza, né il sangue freddo, né l’educazione possono fare niente. 

6 Si addensava il buio sopra Sarajevo e si accendevano piccole luci. Veniva il turno dei “pensieri notturni”. 

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Allora ho pensato di prenderle in prestito da Ivo Andrić. Ovvero dall’autore bosniaco premio Nobel che forse meglio di chiunque altro è riuscito a trasformare in parole questo crocevia di sfumature culturali chiamato Bosnia. 

Quindi questa volta le didascalie delle mie foto escono dalla sua penna: 

1 È vero che la nostra gente cominciava ad assomigliare sempre più agli stranieri occupanti, ma nemmeno gli stranieri erano immuni all’ambiente. Neppure gli stranieri potevano sottrarsi all’influenza della società orientale dove erano costretti a vivere. 

2 È il rumore del fiume Miljacka che riempie il giorno e la notte, senza sosta. Quel suono che durante l’estate, quando c’è poca acqua, è sottile e penetrante, mentre in autunno e inverno è cupo e più profondo, è una parte essenziale del loro silenzio. 

3 Stjepan Ković osserva il suo giudeo ed è scontento di sé e del suo “giudeo”. Evidentemente, né questo è un vero ebreo come se lo immaginava, né lui è un ustascia come voleva essere.
Nessuna traccia di quel ricco ebreo insolente di cui sognava. Invano sforza la memoria per ricordarsi di qualche dettaglio grave e malvagio che possa rinfocolare in lui la rabbia. 

4 Queste tre case, silenziose e poco illuminate, sembrano come tramortite, ma la loro apparenza inganna. In ognuna di loro ci sono vita e inquietudini, se non nei movimenti, certamente nei pensieri e nelle parole. 

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6 Si addensava il buio sopra Sarajevo e si accendevano piccole luci. Veniva il turno dei “pensieri notturni”. 

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Quindi questa volta le didascalie delle mie foto escono dalla sua penna: 

1 È vero che la nostra gente cominciava ad assomigliare sempre più agli stranieri occupanti, ma nemmeno gli stranieri erano immuni all’ambiente. Neppure gli stranieri potevano sottrarsi all’influenza della società orientale dove erano costretti a vivere. 

2 È il rumore del fiume Miljacka che riempie il giorno e la notte, senza sosta. Quel suono che durante l’estate, quando c’è poca acqua, è sottile e penetrante, mentre in autunno e inverno è cupo e più profondo, è una parte essenziale del loro silenzio. 

3 Stjepan Ković osserva il suo giudeo ed è scontento di sé e del suo “giudeo”. Evidentemente, né questo è un vero ebreo come se lo immaginava, né lui è un ustascia come voleva essere.
Nessuna traccia di quel ricco ebreo insolente di cui sognava. Invano sforza la memoria per ricordarsi di qualche dettaglio grave e malvagio che possa rinfocolare in lui la rabbia. 

4 Queste tre case, silenziose e poco illuminate, sembrano come tramortite, ma la loro apparenza inganna. In ognuna di loro ci sono vita e inquietudini, se non nei movimenti, certamente nei pensieri e nelle parole. 

5 Ci sono momenti in cui anche la personalità più risoluta si spezza e in cui né la forza, né il sangue freddo, né l’educazione possono fare niente. 

6 Si addensava il buio sopra Sarajevo e si accendevano piccole luci. Veniva il turno dei “pensieri notturni”. 

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1 È vero che la nostra gente cominciava ad assomigliare sempre più agli stranieri occupanti, ma nemmeno gli stranieri erano immuni all’ambiente. Neppure gli stranieri potevano sottrarsi all’influenza della società orientale dove erano costretti a vivere. 

2 È il rumore del fiume Miljacka che riempie il giorno e la notte, senza sosta. Quel suono che durante l’estate, quando c’è poca acqua, è sottile e penetrante, mentre in autunno e inverno è cupo e più profondo, è una parte essenziale del loro silenzio. 

3 Stjepan Ković osserva il suo giudeo ed è scontento di sé e del suo “giudeo”. Evidentemente, né questo è un vero ebreo come se lo immaginava, né lui è un ustascia come voleva essere.
Nessuna traccia di quel ricco ebreo insolente di cui sognava. Invano sforza la memoria per ricordarsi di qualche dettaglio grave e malvagio che possa rinfocolare in lui la rabbia. 

4 Queste tre case, silenziose e poco illuminate, sembrano come tramortite, ma la loro apparenza inganna. In ognuna di loro ci sono vita e inquietudini, se non nei movimenti, certamente nei pensieri e nelle parole. 

5 Ci sono momenti in cui anche la personalità più risoluta si spezza e in cui né la forza, né il sangue freddo, né l’educazione possono fare niente. 

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8 mesi ago
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9/12
Gradska Vijećnica è il Municipio della città di Sarajevo, ma conosciuta anche come biblioteca Nazionale. 

Questo edificio in stile pseudo-moresco oltre ad essere di una bellezza sconvolgente ha una storia interessantissima. 

Quest’opera fu progettata dall’architetto ceco Alexander Wittek (lo stesso che disegnò la fontana ottomana Sebilj, ormai simbolo di Sarajevo) che gli costò un esaurimento nervoso per ansia da prestazione. 
Ci teneva così tanto a questo incarico che per studiare l’arte islamica, a cui è ispirato l’edificio, si recò due volte al Cairo. 

Il palazzo ospitò l’arciduca Ferdinando poco prima dell’attentato che lo uccise e scatenò la prima guerra mondiale.
In seguito fu convertito da Comune in biblioteca Nazionale custodendo più di un milione di libri di valore inestimabile. 

Durante l’assedio di Sarajevo nel 1992, l’esercito assediante lanciò di proposito delle bombe incendiarie per distruggere il patrimonio librario. La biblioteca bruciò ininterrottamente per due giorni. 

In seguito restaurato con grande minuzia e costo, fu infine riaperto nel 2014 come appare oggi, ovvero pura poesia architettonica. 

Non esagero se dico che il Municipio mi ha lasciata letteralmente a bocca aperta e per me vale il viaggio. 

Lo conoscevate? Ma soprattutto Sarajevo vi ispira? Vi leggo nei commenti 👇 

#sarajevo #balcani #esteuropa #bosnia #bosniaeherzegovina #viaggiofotograforacconto #bibliotecanazionalesarajevo #gradskavijecnica #gradskavijećnicasarajevo #stilemoresco #exjugoslavia
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Gradska Vijećnica è il Municipio della città di Sarajevo, ma conosciuta anche come biblioteca Nazionale. Questo edificio in stile pseudo-moresco oltre ad essere di una bellezza sconvolgente ha una storia interessantissima. Quest’opera fu progettata dall’architetto ceco Alexander Wittek (lo stesso che disegnò la fontana ottomana Sebilj, ormai simbolo di Sarajevo) che gli costò un esaurimento nervoso per ansia da prestazione. Ci teneva così tanto a questo incarico che per studiare l’arte islamica, a cui è ispirato l’edificio, si recò due volte al Cairo. Il palazzo ospitò l’arciduca Ferdinando poco prima dell’attentato che lo uccise e scatenò la prima guerra mondiale. In seguito fu convertito da Comune in biblioteca Nazionale custodendo più di un milione di libri di valore inestimabile. Durante l’assedio di Sarajevo nel 1992, l’esercito assediante lanciò di proposito delle bombe incendiarie per distruggere il patrimonio librario. La biblioteca bruciò ininterrottamente per due giorni. In seguito restaurato con grande minuzia e costo, fu infine riaperto nel 2014 come appare oggi, ovvero pura poesia architettonica. Non esagero se dico che il Municipio mi ha lasciata letteralmente a bocca aperta e per me vale il viaggio. Lo conoscevate? Ma soprattutto Sarajevo vi ispira? Vi leggo nei commenti 👇 #sarajevo #balcani #esteuropa #bosnia #bosniaeherzegovina #viaggiofotograforacconto #bibliotecanazionalesarajevo #gradskavijecnica #gradskavijećnicasarajevo #stilemoresco #exjugoslavia
8 mesi ago
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10/12
CARTOLINE DALLA CITTÀ DEI CONFINI 
A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
10 Vicolo 

Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
CARTOLINE DALLA CITTÀ DEI CONFINI 
A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
10 Vicolo 

Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
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A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
10 Vicolo 

Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
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A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
10 Vicolo 

Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
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A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
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Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
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Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
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A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
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Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
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A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
10 Vicolo 

Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
CARTOLINE DALLA CITTÀ DEI CONFINI 
A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
10 Vicolo 

Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
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CARTOLINE DALLA CITTÀ DEI CONFINI A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini: 1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 4 Case, rami, muri, cielo 5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 6 Chiesa serba di San Spiridione 7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 8 Case verso il cielo 9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 10 Vicolo Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
8 mesi ago
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11/12
📔 DIARI DI VIAGGIO DA TAIWAN (parte 3 di 3) 🎋
I cinesi in quanto a licenza poetica hanno sempre ragione 

Questo lago è anche casa degli indigeni Thao, una delle tante minoranze etniche di Taiwan, che venerano la piccolissima isola di Lalu situata non lontano dalle sponde del lago. Per la sua sacralità l’isola è stata infine chiusa e ad oggi solo chi appartiene alla tribù Thao può andarci.
Pochi sanno che i cinesi Han a Taiwan sono venuti dopo: l’isola è originariamente abitata da aborigeni appartenenti al ceppo austronesiano. Ma su questo ci tornerò un’altra volta. 

Per ora mi limito a scrivere che le tribù autoctone ufficialmente riconosciute nel paese sono 19, ma ne esistono di più e che presso il lago si trova anche il Villaggio Culturale degli aborigeni taiwanesi. Parco che mi sono guardata bene dal visitare per paura di scoprire che il parco sia niente più che una Disneyland travestita di eufemismi antropologici. A detta di ciò che si legge al riguardo e le pubblicità sembra sia così. 

Ho invece dedicato una parte della mia giornata a percorrere il sentiero, che durante la bella stagione pare sia popolato da svolazzanti farfalle colorate, per raggiungere il Tempio di Xuanzang e salire i 700 gradini che portano alla pagoda di Ci’en. 

A chi è a digiuno di cultura classica sinica il nome Xuanzang probabilmente non dirà nulla. Ma nel mondo cinese fu un personaggio importantissimo. Monaco buddista di epoca Tang (VII secolo d. C.), quest’uomo è il protagonista di un viaggio epico: quello che le antiche cronache ricordano come “il viaggio a Ovest” intrapreso a piedi verso l’India in cerca di sutra. 
Questo tempio di Taiwan conserva alcune sue importanti reliquie.

La pagoda Ci’en è ben più laica: fu infatti costruita negli anni Settanta per volere di Chiang Kai-Shek che la dedicò a sua madre. Ha 9 piani e il merito di essere arroccata su un colle da cui si gode di un panorama che abbraccia tutto il lago. E no, neanche da quassù non sono riuscita a scorgere la forma da cui prende il nome. 

Ma forse, chissà, è solo colpa del cielo appesantito dalle nubi. Perché in quanto a licenza poetica, i cinesi hanno sempre ragione. 

#taiwan #taiwantheheartofasia
📔 DIARI DI VIAGGIO DA TAIWAN (parte 3 di 3) 🎋
I cinesi in quanto a licenza poetica hanno sempre ragione 

Questo lago è anche casa degli indigeni Thao, una delle tante minoranze etniche di Taiwan, che venerano la piccolissima isola di Lalu situata non lontano dalle sponde del lago. Per la sua sacralità l’isola è stata infine chiusa e ad oggi solo chi appartiene alla tribù Thao può andarci.
Pochi sanno che i cinesi Han a Taiwan sono venuti dopo: l’isola è originariamente abitata da aborigeni appartenenti al ceppo austronesiano. Ma su questo ci tornerò un’altra volta. 

Per ora mi limito a scrivere che le tribù autoctone ufficialmente riconosciute nel paese sono 19, ma ne esistono di più e che presso il lago si trova anche il Villaggio Culturale degli aborigeni taiwanesi. Parco che mi sono guardata bene dal visitare per paura di scoprire che il parco sia niente più che una Disneyland travestita di eufemismi antropologici. A detta di ciò che si legge al riguardo e le pubblicità sembra sia così. 

Ho invece dedicato una parte della mia giornata a percorrere il sentiero, che durante la bella stagione pare sia popolato da svolazzanti farfalle colorate, per raggiungere il Tempio di Xuanzang e salire i 700 gradini che portano alla pagoda di Ci’en. 

A chi è a digiuno di cultura classica sinica il nome Xuanzang probabilmente non dirà nulla. Ma nel mondo cinese fu un personaggio importantissimo. Monaco buddista di epoca Tang (VII secolo d. C.), quest’uomo è il protagonista di un viaggio epico: quello che le antiche cronache ricordano come “il viaggio a Ovest” intrapreso a piedi verso l’India in cerca di sutra. 
Questo tempio di Taiwan conserva alcune sue importanti reliquie.

La pagoda Ci’en è ben più laica: fu infatti costruita negli anni Settanta per volere di Chiang Kai-Shek che la dedicò a sua madre. Ha 9 piani e il merito di essere arroccata su un colle da cui si gode di un panorama che abbraccia tutto il lago. E no, neanche da quassù non sono riuscita a scorgere la forma da cui prende il nome. 

Ma forse, chissà, è solo colpa del cielo appesantito dalle nubi. Perché in quanto a licenza poetica, i cinesi hanno sempre ragione. 

#taiwan #taiwantheheartofasia
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I cinesi in quanto a licenza poetica hanno sempre ragione 

Questo lago è anche casa degli indigeni Thao, una delle tante minoranze etniche di Taiwan, che venerano la piccolissima isola di Lalu situata non lontano dalle sponde del lago. Per la sua sacralità l’isola è stata infine chiusa e ad oggi solo chi appartiene alla tribù Thao può andarci.
Pochi sanno che i cinesi Han a Taiwan sono venuti dopo: l’isola è originariamente abitata da aborigeni appartenenti al ceppo austronesiano. Ma su questo ci tornerò un’altra volta. 

Per ora mi limito a scrivere che le tribù autoctone ufficialmente riconosciute nel paese sono 19, ma ne esistono di più e che presso il lago si trova anche il Villaggio Culturale degli aborigeni taiwanesi. Parco che mi sono guardata bene dal visitare per paura di scoprire che il parco sia niente più che una Disneyland travestita di eufemismi antropologici. A detta di ciò che si legge al riguardo e le pubblicità sembra sia così. 

Ho invece dedicato una parte della mia giornata a percorrere il sentiero, che durante la bella stagione pare sia popolato da svolazzanti farfalle colorate, per raggiungere il Tempio di Xuanzang e salire i 700 gradini che portano alla pagoda di Ci’en. 

A chi è a digiuno di cultura classica sinica il nome Xuanzang probabilmente non dirà nulla. Ma nel mondo cinese fu un personaggio importantissimo. Monaco buddista di epoca Tang (VII secolo d. C.), quest’uomo è il protagonista di un viaggio epico: quello che le antiche cronache ricordano come “il viaggio a Ovest” intrapreso a piedi verso l’India in cerca di sutra. 
Questo tempio di Taiwan conserva alcune sue importanti reliquie.

La pagoda Ci’en è ben più laica: fu infatti costruita negli anni Settanta per volere di Chiang Kai-Shek che la dedicò a sua madre. Ha 9 piani e il merito di essere arroccata su un colle da cui si gode di un panorama che abbraccia tutto il lago. E no, neanche da quassù non sono riuscita a scorgere la forma da cui prende il nome. 

Ma forse, chissà, è solo colpa del cielo appesantito dalle nubi. Perché in quanto a licenza poetica, i cinesi hanno sempre ragione. 

#taiwan #taiwantheheartofasia
📔 DIARI DI VIAGGIO DA TAIWAN (parte 3 di 3) 🎋
I cinesi in quanto a licenza poetica hanno sempre ragione 

Questo lago è anche casa degli indigeni Thao, una delle tante minoranze etniche di Taiwan, che venerano la piccolissima isola di Lalu situata non lontano dalle sponde del lago. Per la sua sacralità l’isola è stata infine chiusa e ad oggi solo chi appartiene alla tribù Thao può andarci.
Pochi sanno che i cinesi Han a Taiwan sono venuti dopo: l’isola è originariamente abitata da aborigeni appartenenti al ceppo austronesiano. Ma su questo ci tornerò un’altra volta. 

Per ora mi limito a scrivere che le tribù autoctone ufficialmente riconosciute nel paese sono 19, ma ne esistono di più e che presso il lago si trova anche il Villaggio Culturale degli aborigeni taiwanesi. Parco che mi sono guardata bene dal visitare per paura di scoprire che il parco sia niente più che una Disneyland travestita di eufemismi antropologici. A detta di ciò che si legge al riguardo e le pubblicità sembra sia così. 

Ho invece dedicato una parte della mia giornata a percorrere il sentiero, che durante la bella stagione pare sia popolato da svolazzanti farfalle colorate, per raggiungere il Tempio di Xuanzang e salire i 700 gradini che portano alla pagoda di Ci’en. 

A chi è a digiuno di cultura classica sinica il nome Xuanzang probabilmente non dirà nulla. Ma nel mondo cinese fu un personaggio importantissimo. Monaco buddista di epoca Tang (VII secolo d. C.), quest’uomo è il protagonista di un viaggio epico: quello che le antiche cronache ricordano come “il viaggio a Ovest” intrapreso a piedi verso l’India in cerca di sutra. 
Questo tempio di Taiwan conserva alcune sue importanti reliquie.

La pagoda Ci’en è ben più laica: fu infatti costruita negli anni Settanta per volere di Chiang Kai-Shek che la dedicò a sua madre. Ha 9 piani e il merito di essere arroccata su un colle da cui si gode di un panorama che abbraccia tutto il lago. E no, neanche da quassù non sono riuscita a scorgere la forma da cui prende il nome. 

Ma forse, chissà, è solo colpa del cielo appesantito dalle nubi. Perché in quanto a licenza poetica, i cinesi hanno sempre ragione. 

#taiwan #taiwantheheartofasia
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I cinesi in quanto a licenza poetica hanno sempre ragione 

Questo lago è anche casa degli indigeni Thao, una delle tante minoranze etniche di Taiwan, che venerano la piccolissima isola di Lalu situata non lontano dalle sponde del lago. Per la sua sacralità l’isola è stata infine chiusa e ad oggi solo chi appartiene alla tribù Thao può andarci.
Pochi sanno che i cinesi Han a Taiwan sono venuti dopo: l’isola è originariamente abitata da aborigeni appartenenti al ceppo austronesiano. Ma su questo ci tornerò un’altra volta. 

Per ora mi limito a scrivere che le tribù autoctone ufficialmente riconosciute nel paese sono 19, ma ne esistono di più e che presso il lago si trova anche il Villaggio Culturale degli aborigeni taiwanesi. Parco che mi sono guardata bene dal visitare per paura di scoprire che il parco sia niente più che una Disneyland travestita di eufemismi antropologici. A detta di ciò che si legge al riguardo e le pubblicità sembra sia così. 

Ho invece dedicato una parte della mia giornata a percorrere il sentiero, che durante la bella stagione pare sia popolato da svolazzanti farfalle colorate, per raggiungere il Tempio di Xuanzang e salire i 700 gradini che portano alla pagoda di Ci’en. 

A chi è a digiuno di cultura classica sinica il nome Xuanzang probabilmente non dirà nulla. Ma nel mondo cinese fu un personaggio importantissimo. Monaco buddista di epoca Tang (VII secolo d. C.), quest’uomo è il protagonista di un viaggio epico: quello che le antiche cronache ricordano come “il viaggio a Ovest” intrapreso a piedi verso l’India in cerca di sutra. 
Questo tempio di Taiwan conserva alcune sue importanti reliquie.

La pagoda Ci’en è ben più laica: fu infatti costruita negli anni Settanta per volere di Chiang Kai-Shek che la dedicò a sua madre. Ha 9 piani e il merito di essere arroccata su un colle da cui si gode di un panorama che abbraccia tutto il lago. E no, neanche da quassù non sono riuscita a scorgere la forma da cui prende il nome. 

Ma forse, chissà, è solo colpa del cielo appesantito dalle nubi. Perché in quanto a licenza poetica, i cinesi hanno sempre ragione. 

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