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Tag: Cile

Viaggio nel deserto di Atacama, nel nord del Cile

21 Gennaio 201927 Aprile 2020 Cristina CoriViaggi

Atacama, nel nord del Cile, è uno dei posti più entusiasmanti di questo lungo e sottile paese. La parola “deserto” potrebbe essere fuorviante. Si tratta di un deserto è vero, ma non quello di dune sabbiose che siamo portati a pensare. In questa zona infatti si trova molto di più: incredibili formazioni rocciose, grotte, lagune, vulcani e geyser. Inoltre trovandosi […]

Tutto quello che devi sapere per organizzare la W al Torres del Paine

31 Dicembre 201813 Gennaio 2019 Cristina CoriViaggi

Certi incontri sono difficili da spiegare. A volte non ce li spieghiamo neanche noi. E questo è quello che è successo quando mi sono finalmente trovata faccia a faccia con le Torri.  Chi segue le avventure che pubblico sulla pagina Facebook del blog forse si ricorderà di quella volta che a Puerto Natales un febbrone mi bloccò 3 giorni a […]

ECCOMI!

Ciao, sono Cristina Cori!
Mezza romana mezza romena, grande passione per gli Orienti e un rapporto conflittuale con la routine e la stasi.
Viaggio a Est e da anni vivo nel Medio Oriente arabo levantino, di cui sono ormai specialista.
Irrequieta e dipendente da viaggi, finisco sempre col trovarmi altrove alla ricerca di stimoli e nuove esperienze: parto spesso, o almeno ci provo.
Ma quando non viaggio, scrivo e quando non scrivo, leggo.

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Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

[il racconto continua nel primo commento perché IG, considerandoci analfabeti che sanno solo guardare foto, mette un limite di caratteri alla caption 😐]
Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

[il racconto continua nel primo commento perché IG, considerandoci analfabeti che sanno solo guardare foto, mette un limite di caratteri alla caption 😐]
Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

[il racconto continua nel primo commento perché IG, considerandoci analfabeti che sanno solo guardare foto, mette un limite di caratteri alla caption 😐]
Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

[il racconto continua nel primo commento perché IG, considerandoci analfabeti che sanno solo guardare foto, mette un limite di caratteri alla caption 😐]
Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

[il racconto continua nel primo commento perché IG, considerandoci analfabeti che sanno solo guardare foto, mette un limite di caratteri alla caption 😐]
Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

[il racconto continua nel primo commento perché IG, considerandoci analfabeti che sanno solo guardare foto, mette un limite di caratteri alla caption 😐]
Tskaltubo in tempi sovietici era un centro termale popolare per i suoi sanatorium, strutture simili alle odierne spa, costruite come luoghi di ricreazione per i lavoratori. 
Con la caduta dell’Urss i sanatorium sono stati lasciati a se stessi. Oggi se ne stanno lì, avvolti dal verde dei parchi che li soffoca, come vecchi dimenticati e abbandonati alla loro vecchiaia. 
A salvarli dall’oblio c’è giusto qualche turista curioso che si spinge fin qua per visitare queste carcasse sovietiche, e alcuni profughi dell’Abkhazia che ancora non hanno trovato un posto alternativo in cui vivere. 

Mi avvicino al Sanatorium Metallurgist, un edificio immenso di cui si intuisce la cura di una volta, un po’ come una signora che, nei segni che tempo gli ha donato, lascia intravedere gli indizi di una bellezza andata. 
Una vecchina appoggiata al portone d’ingresso mi fa cenno di avvicinarmi. Mi chiede da dove vengo e poi nell’unico inglese che conosce mi invita a entrare: “Italy, come!”.
Si è praticamente auto proclamata custode del sanatorium e per 5 soldi georgiani ti fa da guida; in russo, beninteso, perché qua in Georgia è la lingua che si parla ai forestieri. 

Mi fa entrare nell’atrio della struttura dove troneggia, appeso al soffitto, un lampadario pesantissimo con gocce di cristallo. 
Il contrasto tra l’eleganza perduta e la fatiscenza crea un senso di piacevole disagio che diventa meno piacevole quando sento la serratura chiudersi alle mie spalle. La vecchina ha chiuso a chiave il portone d’ingresso e adesso siamo io e lei dentro quello che pare un hotel di lusso in decadenza. 

Mi fa strada, spiegandomi storie, indicandomi cose. Mi conduce lungo corridoi ingombri di pezzi di intonaco che hanno lasciato le pareti scrostate. I vetri delle finestre giacciono a terra scheggiati. Le sale, illuminate dalle vetrate fatte a pezzi dall’incuria, sono così vuote e disabitate da apparire troppo ampie perfino per un edificio così imponente. 

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3 settimane ago
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Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

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#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

P.P.S. Come sempre, se non guardate le foto a ritmo di musica godete solo a metà. 

#georgia #caucaso #tbilisi #kutaisi #georgiagram #beautifulcountry #patriadelvino
Cose che ho imparato dal mio mesetto pazzerello nel Caucaso: 

1) Che la Georgia sia la patria del vino 🍷 uno lo intuisce anche se non ne conosce la storia. 
Nella sola Tbilisi ci sono più bottiglie di vino che in tutta la Toscana, i biglietti dei siti hanno la versione con degustazione, nei bus turistici viene offerto il vino e nei check-in in ostello pure

2) Care vecchie mashrutki e treni in platskart fanno al caso vostro se non vi piace vincere facile. 
Per tutto il resto c’è Mastercard e si può sempre integrare con l’autostop; bonus: se l’autista si invaghisce di voi vi regala il gelato 

3) Paesaggi stratosferici, grotte impressionanti, siti rupestri, leggende, monasteri, villaggetti dal sapore post sovietico, una capitale intrigante che strizza l’occhio all’Europa, cibo fenomenale e una parlata che se ti ci cimenti ti sloghi la lingua

4) La chacha è la grappa locale, considerata patrimonio dell’UNESCO. Quindi non è alcolismo: si chiama cultura. 
N.B. Diffidate dalle versioni commerciali sotto i 60 gradi…

5) Mi è tornata la passione del rugby e mi sono scoperta tifosa della nazionale georgiana 🏉 

6) La Georgia merita di tornarci. Per più trekking, più luoghi, godere della sua gente, della sua storia e addentrarsi nelle sfumature di un paese piccolo quanto complesso. 

Io mannaggiaatuttoquanto mi sono innamorata persa 🥰 

Se quello che vedete vi intriga, preparatevi per il viaggio di gruppo 1-10 Settembre in Georgia 🫶 
Per info citofonate a me o a @fabio_spinozzi 

 P.S. su saggio suggerimento di @alessandra_govan_f  non taggo altre persone 😅

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2 mesi ago
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2/12
STRALCI DI DIARI DI UN RITORNO IN GIORDANIA
I miei ritorni in Giordania sono ormai esasperanti. Mi drenano una quantità di energia che non ho più. 

C’è stato tanto tra me e questo paese. Nonostante le disillusioni, la fatica e la rabbia che ancora spurgo non riesco a non essere legata a questa terra. 
Però qualcosa si è incrinato. Si è aperta una crepa che non avrei pensato si sarebbe allargata così tanto. 

Petra non mi suscita più le emozioni di una volta. Sono cambiata io, indubbiamente, ma è cambiata anche lei. 
L’ho trovata “ripulita”, senza l’atmosfera e la vitalità genuina che la caratterizzavano. E per me non è più un luogo magico… quella “vita segreta di Petra” di cui parlo nel mio libro si è spenta. Ora è solo un sito archeologico. 

Mi ha fatto piacere rivedere alcuni amici, alcuni luoghi, raccontare della sua storia millenaria a una cara amica italiana con cui ho ripercorso i luoghi del cuore. Però il cuore era vuoto. Le emozioni spente. 

Poi mi sono scontrata ancora una volta con la burocrazia di qua. La burocrazia, questo mostro tentacolare a più teste (tutte vuote a giudicare dalla mia esperienza) che sputa fiamme. 

E seppure è vero che arrabbiarsi è deleterio perché “quando ti arrabbi stai infliggendo una punizione a te stesso per qualcosa che hanno fatto gli altri”, mi chiedo: come si fa a ignorare questo sentimento se ti portano all’esasperazione? La tecnica romana dello sticazzi qua non funziona sempre bene perché spesso ciò che vorresti far rientrare nella categoria puoi travestirlo in uno sticazzi sul momento, ma la ferita te la infligge. E questo graffio si va a sommare a tanti piccoli torti che a lungo andare logorano fino a saturarti.

Sensazione di impotenza. Contro l’ignoranza e contro abitudini marce perpetuate dure a morire. 

Me ne torno in Italia ancora una volta da perdente. E sebbene la mia psicoterapeuta mi fa notare che non è una guerra, per me continua ad esserlo. 
Insomma, non è andata come avrei sperato e me ne vado cercando di mettere a tacere tante voci che gridano. 

Un abbraccio a voi che mi avete seguito e supportato nel mio racconto scostante da qua. Se vi va di dirmi qualcosa, vi leggo nei commenti.
STRALCI DI DIARI DI UN RITORNO IN GIORDANIA
I miei ritorni in Giordania sono ormai esasperanti. Mi drenano una quantità di energia che non ho più. 

C’è stato tanto tra me e questo paese. Nonostante le disillusioni, la fatica e la rabbia che ancora spurgo non riesco a non essere legata a questa terra. 
Però qualcosa si è incrinato. Si è aperta una crepa che non avrei pensato si sarebbe allargata così tanto. 

Petra non mi suscita più le emozioni di una volta. Sono cambiata io, indubbiamente, ma è cambiata anche lei. 
L’ho trovata “ripulita”, senza l’atmosfera e la vitalità genuina che la caratterizzavano. E per me non è più un luogo magico… quella “vita segreta di Petra” di cui parlo nel mio libro si è spenta. Ora è solo un sito archeologico. 

Mi ha fatto piacere rivedere alcuni amici, alcuni luoghi, raccontare della sua storia millenaria a una cara amica italiana con cui ho ripercorso i luoghi del cuore. Però il cuore era vuoto. Le emozioni spente. 

Poi mi sono scontrata ancora una volta con la burocrazia di qua. La burocrazia, questo mostro tentacolare a più teste (tutte vuote a giudicare dalla mia esperienza) che sputa fiamme. 

E seppure è vero che arrabbiarsi è deleterio perché “quando ti arrabbi stai infliggendo una punizione a te stesso per qualcosa che hanno fatto gli altri”, mi chiedo: come si fa a ignorare questo sentimento se ti portano all’esasperazione? La tecnica romana dello sticazzi qua non funziona sempre bene perché spesso ciò che vorresti far rientrare nella categoria puoi travestirlo in uno sticazzi sul momento, ma la ferita te la infligge. E questo graffio si va a sommare a tanti piccoli torti che a lungo andare logorano fino a saturarti.

Sensazione di impotenza. Contro l’ignoranza e contro abitudini marce perpetuate dure a morire. 

Me ne torno in Italia ancora una volta da perdente. E sebbene la mia psicoterapeuta mi fa notare che non è una guerra, per me continua ad esserlo. 
Insomma, non è andata come avrei sperato e me ne vado cercando di mettere a tacere tante voci che gridano. 

Un abbraccio a voi che mi avete seguito e supportato nel mio racconto scostante da qua. Se vi va di dirmi qualcosa, vi leggo nei commenti.
STRALCI DI DIARI DI UN RITORNO IN GIORDANIA
I miei ritorni in Giordania sono ormai esasperanti. Mi drenano una quantità di energia che non ho più. 

C’è stato tanto tra me e questo paese. Nonostante le disillusioni, la fatica e la rabbia che ancora spurgo non riesco a non essere legata a questa terra. 
Però qualcosa si è incrinato. Si è aperta una crepa che non avrei pensato si sarebbe allargata così tanto. 

Petra non mi suscita più le emozioni di una volta. Sono cambiata io, indubbiamente, ma è cambiata anche lei. 
L’ho trovata “ripulita”, senza l’atmosfera e la vitalità genuina che la caratterizzavano. E per me non è più un luogo magico… quella “vita segreta di Petra” di cui parlo nel mio libro si è spenta. Ora è solo un sito archeologico. 

Mi ha fatto piacere rivedere alcuni amici, alcuni luoghi, raccontare della sua storia millenaria a una cara amica italiana con cui ho ripercorso i luoghi del cuore. Però il cuore era vuoto. Le emozioni spente. 

Poi mi sono scontrata ancora una volta con la burocrazia di qua. La burocrazia, questo mostro tentacolare a più teste (tutte vuote a giudicare dalla mia esperienza) che sputa fiamme. 

E seppure è vero che arrabbiarsi è deleterio perché “quando ti arrabbi stai infliggendo una punizione a te stesso per qualcosa che hanno fatto gli altri”, mi chiedo: come si fa a ignorare questo sentimento se ti portano all’esasperazione? La tecnica romana dello sticazzi qua non funziona sempre bene perché spesso ciò che vorresti far rientrare nella categoria puoi travestirlo in uno sticazzi sul momento, ma la ferita te la infligge. E questo graffio si va a sommare a tanti piccoli torti che a lungo andare logorano fino a saturarti.

Sensazione di impotenza. Contro l’ignoranza e contro abitudini marce perpetuate dure a morire. 

Me ne torno in Italia ancora una volta da perdente. E sebbene la mia psicoterapeuta mi fa notare che non è una guerra, per me continua ad esserlo. 
Insomma, non è andata come avrei sperato e me ne vado cercando di mettere a tacere tante voci che gridano. 

Un abbraccio a voi che mi avete seguito e supportato nel mio racconto scostante da qua. Se vi va di dirmi qualcosa, vi leggo nei commenti.
STRALCI DI DIARI DI UN RITORNO IN GIORDANIA
I miei ritorni in Giordania sono ormai esasperanti. Mi drenano una quantità di energia che non ho più. 

C’è stato tanto tra me e questo paese. Nonostante le disillusioni, la fatica e la rabbia che ancora spurgo non riesco a non essere legata a questa terra. 
Però qualcosa si è incrinato. Si è aperta una crepa che non avrei pensato si sarebbe allargata così tanto. 

Petra non mi suscita più le emozioni di una volta. Sono cambiata io, indubbiamente, ma è cambiata anche lei. 
L’ho trovata “ripulita”, senza l’atmosfera e la vitalità genuina che la caratterizzavano. E per me non è più un luogo magico… quella “vita segreta di Petra” di cui parlo nel mio libro si è spenta. Ora è solo un sito archeologico. 

Mi ha fatto piacere rivedere alcuni amici, alcuni luoghi, raccontare della sua storia millenaria a una cara amica italiana con cui ho ripercorso i luoghi del cuore. Però il cuore era vuoto. Le emozioni spente. 

Poi mi sono scontrata ancora una volta con la burocrazia di qua. La burocrazia, questo mostro tentacolare a più teste (tutte vuote a giudicare dalla mia esperienza) che sputa fiamme. 

E seppure è vero che arrabbiarsi è deleterio perché “quando ti arrabbi stai infliggendo una punizione a te stesso per qualcosa che hanno fatto gli altri”, mi chiedo: come si fa a ignorare questo sentimento se ti portano all’esasperazione? La tecnica romana dello sticazzi qua non funziona sempre bene perché spesso ciò che vorresti far rientrare nella categoria puoi travestirlo in uno sticazzi sul momento, ma la ferita te la infligge. E questo graffio si va a sommare a tanti piccoli torti che a lungo andare logorano fino a saturarti.

Sensazione di impotenza. Contro l’ignoranza e contro abitudini marce perpetuate dure a morire. 

Me ne torno in Italia ancora una volta da perdente. E sebbene la mia psicoterapeuta mi fa notare che non è una guerra, per me continua ad esserlo. 
Insomma, non è andata come avrei sperato e me ne vado cercando di mettere a tacere tante voci che gridano. 

Un abbraccio a voi che mi avete seguito e supportato nel mio racconto scostante da qua. Se vi va di dirmi qualcosa, vi leggo nei commenti.
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STRALCI DI DIARI DI UN RITORNO IN GIORDANIA I miei ritorni in Giordania sono ormai esasperanti. Mi drenano una quantità di energia che non ho più. C’è stato tanto tra me e questo paese. Nonostante le disillusioni, la fatica e la rabbia che ancora spurgo non riesco a non essere legata a questa terra. Però qualcosa si è incrinato. Si è aperta una crepa che non avrei pensato si sarebbe allargata così tanto. Petra non mi suscita più le emozioni di una volta. Sono cambiata io, indubbiamente, ma è cambiata anche lei. L’ho trovata “ripulita”, senza l’atmosfera e la vitalità genuina che la caratterizzavano. E per me non è più un luogo magico… quella “vita segreta di Petra” di cui parlo nel mio libro si è spenta. Ora è solo un sito archeologico. Mi ha fatto piacere rivedere alcuni amici, alcuni luoghi, raccontare della sua storia millenaria a una cara amica italiana con cui ho ripercorso i luoghi del cuore. Però il cuore era vuoto. Le emozioni spente. Poi mi sono scontrata ancora una volta con la burocrazia di qua. La burocrazia, questo mostro tentacolare a più teste (tutte vuote a giudicare dalla mia esperienza) che sputa fiamme. E seppure è vero che arrabbiarsi è deleterio perché “quando ti arrabbi stai infliggendo una punizione a te stesso per qualcosa che hanno fatto gli altri”, mi chiedo: come si fa a ignorare questo sentimento se ti portano all’esasperazione? La tecnica romana dello sticazzi qua non funziona sempre bene perché spesso ciò che vorresti far rientrare nella categoria puoi travestirlo in uno sticazzi sul momento, ma la ferita te la infligge. E questo graffio si va a sommare a tanti piccoli torti che a lungo andare logorano fino a saturarti. Sensazione di impotenza. Contro l’ignoranza e contro abitudini marce perpetuate dure a morire. Me ne torno in Italia ancora una volta da perdente. E sebbene la mia psicoterapeuta mi fa notare che non è una guerra, per me continua ad esserlo. Insomma, non è andata come avrei sperato e me ne vado cercando di mettere a tacere tante voci che gridano. Un abbraccio a voi che mi avete seguito e supportato nel mio racconto scostante da qua. Se vi va di dirmi qualcosa, vi leggo nei commenti.
3 mesi ago
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3/12
“Possano i fiori ricordarci perché la pioggia era così necessaria” 

La primavera è la magia della rinascita. 
Se l’autunno ci insegna a lasciar andare, e l’inverno a fermarci per ricaricarci, la primavera è la maestra della pazienza e della fede. 
La natura ha sempre ragione. 

Buon equinozio di primavera da questa parte di mondo (che poi a quanto pare era ieri perché boh, non c’è più religione)! 

#primavera #belgrado #rinascita #natura #viaggiofotograforacconto #serbia #stagioni
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“Possano i fiori ricordarci perché la pioggia era così necessaria” La primavera è la magia della rinascita. Se l’autunno ci insegna a lasciar andare, e l’inverno a fermarci per ricaricarci, la primavera è la maestra della pazienza e della fede. La natura ha sempre ragione. Buon equinozio di primavera da questa parte di mondo (che poi a quanto pare era ieri perché boh, non c’è più religione)! #primavera #belgrado #rinascita #natura #viaggiofotograforacconto #serbia #stagioni
4 mesi ago
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4/12
🖤 5 CURIOSITÀ SU SARAJEVO, LA GERUSALEMME D’EUROPA 🤍

1) 🕊️Sarajevo è detta la “Gerusalemme d’Europa” perché nella città hanno per secoli convissuto pacificamente i tre monoteismi. 
Nello stesso quartiere si possono trovare una moschea, una chiesa e una sinagoga. 

2) 🚋 Il primo tram della storia entrò in funzione a Sarajevo nel 1885 quando la città faceva parte dell’impero austroungarico. 
Si trattava di un esperimento per verificarne la fattibilità prima di installare una via tranviaria a Vienna. 

3) 🪦 Il cimitero ebraico di Sarajevo, adagiato sulla collina Kovačići, è il secondo più grande d’Europa dopo quello di Praga. 

4) 🥀 Passeggiando per le strade di Sarajevo potrete imbattervi in piccoli crateri sull’asfalto decorati con schizzi di resina rossa. Sembrano delle rose rosse (da cui il nome), ma non hanno nulla di romantico: sono invece legate all’assedio della città del 1992. Sono delle installazioni che segnano i luoghi in cui sono morte delle persone a causa delle granate. 
L’idea nacque emulando il gesto un padre che, di fronte alla cattedrale, dipinse di rosso il buco dove sua figlia perse la vita.

5) 🍻 Molti abitanti di Sarajevo sono musulmani, ma la città ha un rapporto molto rilassato con il consumo di alcol. Infatti qua si trova la fabbrica della birra nazionale: la Sarajevska Pivara… che udite, udite, non solo fu il primo birrificio dell’Impero Ottomano, ma non è niente male! 

6) ⛲️ Se per far ritorno a Roma bisogna lanciare una monetina nella fontana di Trevi, per tornare a Sarajevo basta bere da una delle sue fontane. 
Un tempo di fontane pubbliche ce ne erano ben 110! 

Conoscevate queste curiosità di Sarajevo? 
Se ne sapete altre scrivetemele nei commenti 👇 

#sarajevo #bosnia #bosniaeherzegovina #balcani #capitalibalcaniche #viaggiofotograforacconto #esteuropa #exjugoslavia #gerusalemmedeuropa
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🖤 5 CURIOSITÀ SU SARAJEVO, LA GERUSALEMME D’EUROPA 🤍 1) 🕊️Sarajevo è detta la “Gerusalemme d’Europa” perché nella città hanno per secoli convissuto pacificamente i tre monoteismi. Nello stesso quartiere si possono trovare una moschea, una chiesa e una sinagoga. 2) 🚋 Il primo tram della storia entrò in funzione a Sarajevo nel 1885 quando la città faceva parte dell’impero austroungarico. Si trattava di un esperimento per verificarne la fattibilità prima di installare una via tranviaria a Vienna. 3) 🪦 Il cimitero ebraico di Sarajevo, adagiato sulla collina Kovačići, è il secondo più grande d’Europa dopo quello di Praga. 4) 🥀 Passeggiando per le strade di Sarajevo potrete imbattervi in piccoli crateri sull’asfalto decorati con schizzi di resina rossa. Sembrano delle rose rosse (da cui il nome), ma non hanno nulla di romantico: sono invece legate all’assedio della città del 1992. Sono delle installazioni che segnano i luoghi in cui sono morte delle persone a causa delle granate. L’idea nacque emulando il gesto un padre che, di fronte alla cattedrale, dipinse di rosso il buco dove sua figlia perse la vita. 5) 🍻 Molti abitanti di Sarajevo sono musulmani, ma la città ha un rapporto molto rilassato con il consumo di alcol. Infatti qua si trova la fabbrica della birra nazionale: la Sarajevska Pivara… che udite, udite, non solo fu il primo birrificio dell’Impero Ottomano, ma non è niente male! 6) ⛲️ Se per far ritorno a Roma bisogna lanciare una monetina nella fontana di Trevi, per tornare a Sarajevo basta bere da una delle sue fontane. Un tempo di fontane pubbliche ce ne erano ben 110! Conoscevate queste curiosità di Sarajevo? Se ne sapete altre scrivetemele nei commenti 👇 #sarajevo #bosnia #bosniaeherzegovina #balcani #capitalibalcaniche #viaggiofotograforacconto #esteuropa #exjugoslavia #gerusalemmedeuropa
5 mesi ago
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5/12
Trovare le parole per descrivere Sarajevo è impegnativo anche per me. 
Allora ho pensato di prenderle in prestito da Ivo Andrić. Ovvero dall’autore bosniaco premio Nobel che forse meglio di chiunque altro è riuscito a trasformare in parole questo crocevia di sfumature culturali chiamato Bosnia. 

Quindi questa volta le didascalie delle mie foto escono dalla sua penna: 

1 È vero che la nostra gente cominciava ad assomigliare sempre più agli stranieri occupanti, ma nemmeno gli stranieri erano immuni all’ambiente. Neppure gli stranieri potevano sottrarsi all’influenza della società orientale dove erano costretti a vivere. 

2 È il rumore del fiume Miljacka che riempie il giorno e la notte, senza sosta. Quel suono che durante l’estate, quando c’è poca acqua, è sottile e penetrante, mentre in autunno e inverno è cupo e più profondo, è una parte essenziale del loro silenzio. 

3 Stjepan Ković osserva il suo giudeo ed è scontento di sé e del suo “giudeo”. Evidentemente, né questo è un vero ebreo come se lo immaginava, né lui è un ustascia come voleva essere.
Nessuna traccia di quel ricco ebreo insolente di cui sognava. Invano sforza la memoria per ricordarsi di qualche dettaglio grave e malvagio che possa rinfocolare in lui la rabbia. 

4 Queste tre case, silenziose e poco illuminate, sembrano come tramortite, ma la loro apparenza inganna. In ognuna di loro ci sono vita e inquietudini, se non nei movimenti, certamente nei pensieri e nelle parole. 

5 Ci sono momenti in cui anche la personalità più risoluta si spezza e in cui né la forza, né il sangue freddo, né l’educazione possono fare niente. 

6 Si addensava il buio sopra Sarajevo e si accendevano piccole luci. Veniva il turno dei “pensieri notturni”. 

Dei libri su Sarajevo, tra cui alcuni di Ivo Andrić, ho scritto un articolo sul blog. Sbirciate nel mio sito o googlate “Libri su Sarajevo”. 
E se ne conoscete altri libri su Sarajevo fatemelo sapere please 🙏 👇 

#sarajevo #bosnia #balcani #croceviadiculture #ilovesarajevo #visitsarajevo #esteuropa #ivoandric
Trovare le parole per descrivere Sarajevo è impegnativo anche per me. 
Allora ho pensato di prenderle in prestito da Ivo Andrić. Ovvero dall’autore bosniaco premio Nobel che forse meglio di chiunque altro è riuscito a trasformare in parole questo crocevia di sfumature culturali chiamato Bosnia. 

Quindi questa volta le didascalie delle mie foto escono dalla sua penna: 

1 È vero che la nostra gente cominciava ad assomigliare sempre più agli stranieri occupanti, ma nemmeno gli stranieri erano immuni all’ambiente. Neppure gli stranieri potevano sottrarsi all’influenza della società orientale dove erano costretti a vivere. 

2 È il rumore del fiume Miljacka che riempie il giorno e la notte, senza sosta. Quel suono che durante l’estate, quando c’è poca acqua, è sottile e penetrante, mentre in autunno e inverno è cupo e più profondo, è una parte essenziale del loro silenzio. 

3 Stjepan Ković osserva il suo giudeo ed è scontento di sé e del suo “giudeo”. Evidentemente, né questo è un vero ebreo come se lo immaginava, né lui è un ustascia come voleva essere.
Nessuna traccia di quel ricco ebreo insolente di cui sognava. Invano sforza la memoria per ricordarsi di qualche dettaglio grave e malvagio che possa rinfocolare in lui la rabbia. 

4 Queste tre case, silenziose e poco illuminate, sembrano come tramortite, ma la loro apparenza inganna. In ognuna di loro ci sono vita e inquietudini, se non nei movimenti, certamente nei pensieri e nelle parole. 

5 Ci sono momenti in cui anche la personalità più risoluta si spezza e in cui né la forza, né il sangue freddo, né l’educazione possono fare niente. 

6 Si addensava il buio sopra Sarajevo e si accendevano piccole luci. Veniva il turno dei “pensieri notturni”. 

Dei libri su Sarajevo, tra cui alcuni di Ivo Andrić, ho scritto un articolo sul blog. Sbirciate nel mio sito o googlate “Libri su Sarajevo”. 
E se ne conoscete altri libri su Sarajevo fatemelo sapere please 🙏 👇 

#sarajevo #bosnia #balcani #croceviadiculture #ilovesarajevo #visitsarajevo #esteuropa #ivoandric
Trovare le parole per descrivere Sarajevo è impegnativo anche per me. 
Allora ho pensato di prenderle in prestito da Ivo Andrić. Ovvero dall’autore bosniaco premio Nobel che forse meglio di chiunque altro è riuscito a trasformare in parole questo crocevia di sfumature culturali chiamato Bosnia. 

Quindi questa volta le didascalie delle mie foto escono dalla sua penna: 

1 È vero che la nostra gente cominciava ad assomigliare sempre più agli stranieri occupanti, ma nemmeno gli stranieri erano immuni all’ambiente. Neppure gli stranieri potevano sottrarsi all’influenza della società orientale dove erano costretti a vivere. 

2 È il rumore del fiume Miljacka che riempie il giorno e la notte, senza sosta. Quel suono che durante l’estate, quando c’è poca acqua, è sottile e penetrante, mentre in autunno e inverno è cupo e più profondo, è una parte essenziale del loro silenzio. 

3 Stjepan Ković osserva il suo giudeo ed è scontento di sé e del suo “giudeo”. Evidentemente, né questo è un vero ebreo come se lo immaginava, né lui è un ustascia come voleva essere.
Nessuna traccia di quel ricco ebreo insolente di cui sognava. Invano sforza la memoria per ricordarsi di qualche dettaglio grave e malvagio che possa rinfocolare in lui la rabbia. 

4 Queste tre case, silenziose e poco illuminate, sembrano come tramortite, ma la loro apparenza inganna. In ognuna di loro ci sono vita e inquietudini, se non nei movimenti, certamente nei pensieri e nelle parole. 

5 Ci sono momenti in cui anche la personalità più risoluta si spezza e in cui né la forza, né il sangue freddo, né l’educazione possono fare niente. 

6 Si addensava il buio sopra Sarajevo e si accendevano piccole luci. Veniva il turno dei “pensieri notturni”. 

Dei libri su Sarajevo, tra cui alcuni di Ivo Andrić, ho scritto un articolo sul blog. Sbirciate nel mio sito o googlate “Libri su Sarajevo”. 
E se ne conoscete altri libri su Sarajevo fatemelo sapere please 🙏 👇 

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Trovare le parole per descrivere Sarajevo è impegnativo anche per me. 
Allora ho pensato di prenderle in prestito da Ivo Andrić. Ovvero dall’autore bosniaco premio Nobel che forse meglio di chiunque altro è riuscito a trasformare in parole questo crocevia di sfumature culturali chiamato Bosnia. 

Quindi questa volta le didascalie delle mie foto escono dalla sua penna: 

1 È vero che la nostra gente cominciava ad assomigliare sempre più agli stranieri occupanti, ma nemmeno gli stranieri erano immuni all’ambiente. Neppure gli stranieri potevano sottrarsi all’influenza della società orientale dove erano costretti a vivere. 

2 È il rumore del fiume Miljacka che riempie il giorno e la notte, senza sosta. Quel suono che durante l’estate, quando c’è poca acqua, è sottile e penetrante, mentre in autunno e inverno è cupo e più profondo, è una parte essenziale del loro silenzio. 

3 Stjepan Ković osserva il suo giudeo ed è scontento di sé e del suo “giudeo”. Evidentemente, né questo è un vero ebreo come se lo immaginava, né lui è un ustascia come voleva essere.
Nessuna traccia di quel ricco ebreo insolente di cui sognava. Invano sforza la memoria per ricordarsi di qualche dettaglio grave e malvagio che possa rinfocolare in lui la rabbia. 

4 Queste tre case, silenziose e poco illuminate, sembrano come tramortite, ma la loro apparenza inganna. In ognuna di loro ci sono vita e inquietudini, se non nei movimenti, certamente nei pensieri e nelle parole. 

5 Ci sono momenti in cui anche la personalità più risoluta si spezza e in cui né la forza, né il sangue freddo, né l’educazione possono fare niente. 

6 Si addensava il buio sopra Sarajevo e si accendevano piccole luci. Veniva il turno dei “pensieri notturni”. 

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Quindi questa volta le didascalie delle mie foto escono dalla sua penna: 

1 È vero che la nostra gente cominciava ad assomigliare sempre più agli stranieri occupanti, ma nemmeno gli stranieri erano immuni all’ambiente. Neppure gli stranieri potevano sottrarsi all’influenza della società orientale dove erano costretti a vivere. 

2 È il rumore del fiume Miljacka che riempie il giorno e la notte, senza sosta. Quel suono che durante l’estate, quando c’è poca acqua, è sottile e penetrante, mentre in autunno e inverno è cupo e più profondo, è una parte essenziale del loro silenzio. 

3 Stjepan Ković osserva il suo giudeo ed è scontento di sé e del suo “giudeo”. Evidentemente, né questo è un vero ebreo come se lo immaginava, né lui è un ustascia come voleva essere.
Nessuna traccia di quel ricco ebreo insolente di cui sognava. Invano sforza la memoria per ricordarsi di qualche dettaglio grave e malvagio che possa rinfocolare in lui la rabbia. 

4 Queste tre case, silenziose e poco illuminate, sembrano come tramortite, ma la loro apparenza inganna. In ognuna di loro ci sono vita e inquietudini, se non nei movimenti, certamente nei pensieri e nelle parole. 

5 Ci sono momenti in cui anche la personalità più risoluta si spezza e in cui né la forza, né il sangue freddo, né l’educazione possono fare niente. 

6 Si addensava il buio sopra Sarajevo e si accendevano piccole luci. Veniva il turno dei “pensieri notturni”. 

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Quindi questa volta le didascalie delle mie foto escono dalla sua penna: 

1 È vero che la nostra gente cominciava ad assomigliare sempre più agli stranieri occupanti, ma nemmeno gli stranieri erano immuni all’ambiente. Neppure gli stranieri potevano sottrarsi all’influenza della società orientale dove erano costretti a vivere. 

2 È il rumore del fiume Miljacka che riempie il giorno e la notte, senza sosta. Quel suono che durante l’estate, quando c’è poca acqua, è sottile e penetrante, mentre in autunno e inverno è cupo e più profondo, è una parte essenziale del loro silenzio. 

3 Stjepan Ković osserva il suo giudeo ed è scontento di sé e del suo “giudeo”. Evidentemente, né questo è un vero ebreo come se lo immaginava, né lui è un ustascia come voleva essere.
Nessuna traccia di quel ricco ebreo insolente di cui sognava. Invano sforza la memoria per ricordarsi di qualche dettaglio grave e malvagio che possa rinfocolare in lui la rabbia. 

4 Queste tre case, silenziose e poco illuminate, sembrano come tramortite, ma la loro apparenza inganna. In ognuna di loro ci sono vita e inquietudini, se non nei movimenti, certamente nei pensieri e nelle parole. 

5 Ci sono momenti in cui anche la personalità più risoluta si spezza e in cui né la forza, né il sangue freddo, né l’educazione possono fare niente. 

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5 mesi ago
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6/12
Gradska Vijećnica è il Municipio della città di Sarajevo, ma conosciuta anche come biblioteca Nazionale. 

Questo edificio in stile pseudo-moresco oltre ad essere di una bellezza sconvolgente ha una storia interessantissima. 

Quest’opera fu progettata dall’architetto ceco Alexander Wittek (lo stesso che disegnò la fontana ottomana Sebilj, ormai simbolo di Sarajevo) che gli costò un esaurimento nervoso per ansia da prestazione. 
Ci teneva così tanto a questo incarico che per studiare l’arte islamica, a cui è ispirato l’edificio, si recò due volte al Cairo. 

Il palazzo ospitò l’arciduca Ferdinando poco prima dell’attentato che lo uccise e scatenò la prima guerra mondiale.
In seguito fu convertito da Comune in biblioteca Nazionale custodendo più di un milione di libri di valore inestimabile. 

Durante l’assedio di Sarajevo nel 1992, l’esercito assediante lanciò di proposito delle bombe incendiarie per distruggere il patrimonio librario. La biblioteca bruciò ininterrottamente per due giorni. 

In seguito restaurato con grande minuzia e costo, fu infine riaperto nel 2014 come appare oggi, ovvero pura poesia architettonica. 

Non esagero se dico che il Municipio mi ha lasciata letteralmente a bocca aperta e per me vale il viaggio. 

Lo conoscevate? Ma soprattutto Sarajevo vi ispira? Vi leggo nei commenti 👇 

#sarajevo #balcani #esteuropa #bosnia #bosniaeherzegovina #viaggiofotograforacconto #bibliotecanazionalesarajevo #gradskavijecnica #gradskavijećnicasarajevo #stilemoresco #exjugoslavia
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Gradska Vijećnica è il Municipio della città di Sarajevo, ma conosciuta anche come biblioteca Nazionale. Questo edificio in stile pseudo-moresco oltre ad essere di una bellezza sconvolgente ha una storia interessantissima. Quest’opera fu progettata dall’architetto ceco Alexander Wittek (lo stesso che disegnò la fontana ottomana Sebilj, ormai simbolo di Sarajevo) che gli costò un esaurimento nervoso per ansia da prestazione. Ci teneva così tanto a questo incarico che per studiare l’arte islamica, a cui è ispirato l’edificio, si recò due volte al Cairo. Il palazzo ospitò l’arciduca Ferdinando poco prima dell’attentato che lo uccise e scatenò la prima guerra mondiale. In seguito fu convertito da Comune in biblioteca Nazionale custodendo più di un milione di libri di valore inestimabile. Durante l’assedio di Sarajevo nel 1992, l’esercito assediante lanciò di proposito delle bombe incendiarie per distruggere il patrimonio librario. La biblioteca bruciò ininterrottamente per due giorni. In seguito restaurato con grande minuzia e costo, fu infine riaperto nel 2014 come appare oggi, ovvero pura poesia architettonica. Non esagero se dico che il Municipio mi ha lasciata letteralmente a bocca aperta e per me vale il viaggio. Lo conoscevate? Ma soprattutto Sarajevo vi ispira? Vi leggo nei commenti 👇 #sarajevo #balcani #esteuropa #bosnia #bosniaeherzegovina #viaggiofotograforacconto #bibliotecanazionalesarajevo #gradskavijecnica #gradskavijećnicasarajevo #stilemoresco #exjugoslavia
5 mesi ago
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7/12
CARTOLINE DALLA CITTÀ DEI CONFINI 
A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
10 Vicolo 

Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
CARTOLINE DALLA CITTÀ DEI CONFINI 
A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
10 Vicolo 

Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
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A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
10 Vicolo 

Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
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A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
10 Vicolo 

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A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
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Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
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Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
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A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
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Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
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A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
10 Vicolo 

Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
CARTOLINE DALLA CITTÀ DEI CONFINI 
A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. 

Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. 
Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. 

Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini:

1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 
2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 
3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 
4 Case, rami, muri, cielo 
5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 
6 Chiesa serba di San Spiridione
7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 
8 Case verso il cielo 
9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 
10 Vicolo 

Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
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CARTOLINE DALLA CITTÀ DEI CONFINI A Trieste la linea del mare se ne sta lì oltre la piazza, come un paesaggio sentimentale, a ricordare che questa città fatta di identità fluide richiama sempre un altrove. Austroungarica, slava, italiana, e casa di quella che una volta era una vivace comunità ebraica. E ancora, porto franco dirimpettaio della Serenissima, città letteraria, commerciale, vicina alle Alpi ma adagiata sul Mediterraneo. Trieste è portatrice sana di una diversità composita che non si lascia afferrare. Ecco qualche immagine del mio viaggio a Trieste, la città dei confini: 1 Café Stella Polare, luogo di incontro di scrittori come Svevo e Joyce, visto dal colonnato della Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo 2 Vasca rituale (Museo della comunità ebraica di Trieste) 3 Statua di Italo Svevo, a pochi passi dal Museo della Letteratura 4 Case, rami, muri, cielo 5 Chiesa di Santa Maria Maggiore 6 Chiesa serba di San Spiridione 7 Particolare di un soffitto della Chiesa di San Spiridione 8 Case verso il cielo 9 Il cielo sopra Piazza Unità d’Italia 10 Vicolo Un grazie speciale a @rebekalegovic per l’ospitalità, il tempo, le passeggiate e le chiacchierate 🙃
5 mesi ago
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8/12
📔 DIARI DI VIAGGIO DA TAIWAN (parte 3 di 3) 🎋
I cinesi in quanto a licenza poetica hanno sempre ragione 

Questo lago è anche casa degli indigeni Thao, una delle tante minoranze etniche di Taiwan, che venerano la piccolissima isola di Lalu situata non lontano dalle sponde del lago. Per la sua sacralità l’isola è stata infine chiusa e ad oggi solo chi appartiene alla tribù Thao può andarci.
Pochi sanno che i cinesi Han a Taiwan sono venuti dopo: l’isola è originariamente abitata da aborigeni appartenenti al ceppo austronesiano. Ma su questo ci tornerò un’altra volta. 

Per ora mi limito a scrivere che le tribù autoctone ufficialmente riconosciute nel paese sono 19, ma ne esistono di più e che presso il lago si trova anche il Villaggio Culturale degli aborigeni taiwanesi. Parco che mi sono guardata bene dal visitare per paura di scoprire che il parco sia niente più che una Disneyland travestita di eufemismi antropologici. A detta di ciò che si legge al riguardo e le pubblicità sembra sia così. 

Ho invece dedicato una parte della mia giornata a percorrere il sentiero, che durante la bella stagione pare sia popolato da svolazzanti farfalle colorate, per raggiungere il Tempio di Xuanzang e salire i 700 gradini che portano alla pagoda di Ci’en. 

A chi è a digiuno di cultura classica sinica il nome Xuanzang probabilmente non dirà nulla. Ma nel mondo cinese fu un personaggio importantissimo. Monaco buddista di epoca Tang (VII secolo d. C.), quest’uomo è il protagonista di un viaggio epico: quello che le antiche cronache ricordano come “il viaggio a Ovest” intrapreso a piedi verso l’India in cerca di sutra. 
Questo tempio di Taiwan conserva alcune sue importanti reliquie.

La pagoda Ci’en è ben più laica: fu infatti costruita negli anni Settanta per volere di Chiang Kai-Shek che la dedicò a sua madre. Ha 9 piani e il merito di essere arroccata su un colle da cui si gode di un panorama che abbraccia tutto il lago. E no, neanche da quassù non sono riuscita a scorgere la forma da cui prende il nome. 

Ma forse, chissà, è solo colpa del cielo appesantito dalle nubi. Perché in quanto a licenza poetica, i cinesi hanno sempre ragione. 

#taiwan #taiwantheheartofasia
📔 DIARI DI VIAGGIO DA TAIWAN (parte 3 di 3) 🎋
I cinesi in quanto a licenza poetica hanno sempre ragione 

Questo lago è anche casa degli indigeni Thao, una delle tante minoranze etniche di Taiwan, che venerano la piccolissima isola di Lalu situata non lontano dalle sponde del lago. Per la sua sacralità l’isola è stata infine chiusa e ad oggi solo chi appartiene alla tribù Thao può andarci.
Pochi sanno che i cinesi Han a Taiwan sono venuti dopo: l’isola è originariamente abitata da aborigeni appartenenti al ceppo austronesiano. Ma su questo ci tornerò un’altra volta. 

Per ora mi limito a scrivere che le tribù autoctone ufficialmente riconosciute nel paese sono 19, ma ne esistono di più e che presso il lago si trova anche il Villaggio Culturale degli aborigeni taiwanesi. Parco che mi sono guardata bene dal visitare per paura di scoprire che il parco sia niente più che una Disneyland travestita di eufemismi antropologici. A detta di ciò che si legge al riguardo e le pubblicità sembra sia così. 

Ho invece dedicato una parte della mia giornata a percorrere il sentiero, che durante la bella stagione pare sia popolato da svolazzanti farfalle colorate, per raggiungere il Tempio di Xuanzang e salire i 700 gradini che portano alla pagoda di Ci’en. 

A chi è a digiuno di cultura classica sinica il nome Xuanzang probabilmente non dirà nulla. Ma nel mondo cinese fu un personaggio importantissimo. Monaco buddista di epoca Tang (VII secolo d. C.), quest’uomo è il protagonista di un viaggio epico: quello che le antiche cronache ricordano come “il viaggio a Ovest” intrapreso a piedi verso l’India in cerca di sutra. 
Questo tempio di Taiwan conserva alcune sue importanti reliquie.

La pagoda Ci’en è ben più laica: fu infatti costruita negli anni Settanta per volere di Chiang Kai-Shek che la dedicò a sua madre. Ha 9 piani e il merito di essere arroccata su un colle da cui si gode di un panorama che abbraccia tutto il lago. E no, neanche da quassù non sono riuscita a scorgere la forma da cui prende il nome. 

Ma forse, chissà, è solo colpa del cielo appesantito dalle nubi. Perché in quanto a licenza poetica, i cinesi hanno sempre ragione. 

#taiwan #taiwantheheartofasia
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I cinesi in quanto a licenza poetica hanno sempre ragione 

Questo lago è anche casa degli indigeni Thao, una delle tante minoranze etniche di Taiwan, che venerano la piccolissima isola di Lalu situata non lontano dalle sponde del lago. Per la sua sacralità l’isola è stata infine chiusa e ad oggi solo chi appartiene alla tribù Thao può andarci.
Pochi sanno che i cinesi Han a Taiwan sono venuti dopo: l’isola è originariamente abitata da aborigeni appartenenti al ceppo austronesiano. Ma su questo ci tornerò un’altra volta. 

Per ora mi limito a scrivere che le tribù autoctone ufficialmente riconosciute nel paese sono 19, ma ne esistono di più e che presso il lago si trova anche il Villaggio Culturale degli aborigeni taiwanesi. Parco che mi sono guardata bene dal visitare per paura di scoprire che il parco sia niente più che una Disneyland travestita di eufemismi antropologici. A detta di ciò che si legge al riguardo e le pubblicità sembra sia così. 

Ho invece dedicato una parte della mia giornata a percorrere il sentiero, che durante la bella stagione pare sia popolato da svolazzanti farfalle colorate, per raggiungere il Tempio di Xuanzang e salire i 700 gradini che portano alla pagoda di Ci’en. 

A chi è a digiuno di cultura classica sinica il nome Xuanzang probabilmente non dirà nulla. Ma nel mondo cinese fu un personaggio importantissimo. Monaco buddista di epoca Tang (VII secolo d. C.), quest’uomo è il protagonista di un viaggio epico: quello che le antiche cronache ricordano come “il viaggio a Ovest” intrapreso a piedi verso l’India in cerca di sutra. 
Questo tempio di Taiwan conserva alcune sue importanti reliquie.

La pagoda Ci’en è ben più laica: fu infatti costruita negli anni Settanta per volere di Chiang Kai-Shek che la dedicò a sua madre. Ha 9 piani e il merito di essere arroccata su un colle da cui si gode di un panorama che abbraccia tutto il lago. E no, neanche da quassù non sono riuscita a scorgere la forma da cui prende il nome. 

Ma forse, chissà, è solo colpa del cielo appesantito dalle nubi. Perché in quanto a licenza poetica, i cinesi hanno sempre ragione. 

#taiwan #taiwantheheartofasia
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I cinesi in quanto a licenza poetica hanno sempre ragione 

Questo lago è anche casa degli indigeni Thao, una delle tante minoranze etniche di Taiwan, che venerano la piccolissima isola di Lalu situata non lontano dalle sponde del lago. Per la sua sacralità l’isola è stata infine chiusa e ad oggi solo chi appartiene alla tribù Thao può andarci.
Pochi sanno che i cinesi Han a Taiwan sono venuti dopo: l’isola è originariamente abitata da aborigeni appartenenti al ceppo austronesiano. Ma su questo ci tornerò un’altra volta. 

Per ora mi limito a scrivere che le tribù autoctone ufficialmente riconosciute nel paese sono 19, ma ne esistono di più e che presso il lago si trova anche il Villaggio Culturale degli aborigeni taiwanesi. Parco che mi sono guardata bene dal visitare per paura di scoprire che il parco sia niente più che una Disneyland travestita di eufemismi antropologici. A detta di ciò che si legge al riguardo e le pubblicità sembra sia così. 

Ho invece dedicato una parte della mia giornata a percorrere il sentiero, che durante la bella stagione pare sia popolato da svolazzanti farfalle colorate, per raggiungere il Tempio di Xuanzang e salire i 700 gradini che portano alla pagoda di Ci’en. 

A chi è a digiuno di cultura classica sinica il nome Xuanzang probabilmente non dirà nulla. Ma nel mondo cinese fu un personaggio importantissimo. Monaco buddista di epoca Tang (VII secolo d. C.), quest’uomo è il protagonista di un viaggio epico: quello che le antiche cronache ricordano come “il viaggio a Ovest” intrapreso a piedi verso l’India in cerca di sutra. 
Questo tempio di Taiwan conserva alcune sue importanti reliquie.

La pagoda Ci’en è ben più laica: fu infatti costruita negli anni Settanta per volere di Chiang Kai-Shek che la dedicò a sua madre. Ha 9 piani e il merito di essere arroccata su un colle da cui si gode di un panorama che abbraccia tutto il lago. E no, neanche da quassù non sono riuscita a scorgere la forma da cui prende il nome. 

Ma forse, chissà, è solo colpa del cielo appesantito dalle nubi. Perché in quanto a licenza poetica, i cinesi hanno sempre ragione. 

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Questo lago è anche casa degli indigeni Thao, una delle tante minoranze etniche di Taiwan, che venerano la piccolissima isola di Lalu situata non lontano dalle sponde del lago. Per la sua sacralità l’isola è stata infine chiusa e ad oggi solo chi appartiene alla tribù Thao può andarci.
Pochi sanno che i cinesi Han a Taiwan sono venuti dopo: l’isola è originariamente abitata da aborigeni appartenenti al ceppo austronesiano. Ma su questo ci tornerò un’altra volta. 

Per ora mi limito a scrivere che le tribù autoctone ufficialmente riconosciute nel paese sono 19, ma ne esistono di più e che presso il lago si trova anche il Villaggio Culturale degli aborigeni taiwanesi. Parco che mi sono guardata bene dal visitare per paura di scoprire che il parco sia niente più che una Disneyland travestita di eufemismi antropologici. A detta di ciò che si legge al riguardo e le pubblicità sembra sia così. 

Ho invece dedicato una parte della mia giornata a percorrere il sentiero, che durante la bella stagione pare sia popolato da svolazzanti farfalle colorate, per raggiungere il Tempio di Xuanzang e salire i 700 gradini che portano alla pagoda di Ci’en. 

A chi è a digiuno di cultura classica sinica il nome Xuanzang probabilmente non dirà nulla. Ma nel mondo cinese fu un personaggio importantissimo. Monaco buddista di epoca Tang (VII secolo d. C.), quest’uomo è il protagonista di un viaggio epico: quello che le antiche cronache ricordano come “il viaggio a Ovest” intrapreso a piedi verso l’India in cerca di sutra. 
Questo tempio di Taiwan conserva alcune sue importanti reliquie.

La pagoda Ci’en è ben più laica: fu infatti costruita negli anni Settanta per volere di Chiang Kai-Shek che la dedicò a sua madre. Ha 9 piani e il merito di essere arroccata su un colle da cui si gode di un panorama che abbraccia tutto il lago. E no, neanche da quassù non sono riuscita a scorgere la forma da cui prende il nome. 

Ma forse, chissà, è solo colpa del cielo appesantito dalle nubi. Perché in quanto a licenza poetica, i cinesi hanno sempre ragione. 

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6 mesi ago
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9/12
📔 DIARI DI VIAGGIO DA TAIWAN 🎋 (parte 2 di 3)
🐒 Questi buffi bipedi che si aggirano su ruote 🚲 

A 3 ore dalla capitale Taipei si trova un posto che sembra uscito da una fiaba: il Lago del Sole e della Luna.

Non mi trovo molto d’accordo sul nome del lago, il più grande di Taiwan, che i cinesi hanno ribattezzato così per la sua forma… ma su una cosa concordo con i cinesi: le sue montagne ammantate di nubi azzurre fanno da sfondo a paesaggi idilliaci. 

Per esplorarlo uno dei modi migliori è noleggiare una bici con la quale percorrere i 33 chilometri, per lo più su una pista ciclabile in buona parte rialzata sulle acque turchesi. 
Ma bisogna anche smontare se si vuole arrivare alle pagode dei templi e attraversare foreste di robusti bambù, di palme slanciate che indossano cappelli frondosi e di ficus immensi dalle radici tentacolari che si fanno strada tra massicci alberi di stelle di Natale in fiore. 

Sì, avete letto bene: alberi. Queste piante, che noi angustiamo in vasi di plastica nei nostri inverni europei, sono in realtà una flora tropicale che nel clima mite dei boschi di queste latitudini godono di una longevità che noi gli precludiamo. 

La ciclabile non è animata solo dalla vitalità portentosa della vegetazione, ma anche da incontri faunistici. Macachi, scoiattoli rossi di Formosa e i colorati uccelli tipici dell’isola abitano queste sponde dove gli animali esotici siamo noi. Loro interrompono le loro attività per sedersi sui rami a guardare con curiosità noi, questi bipedi che si aggirano su ruote. 

#taiwan #ilovetaiwan #visittaiwan #sunmoonlake #ioviaggiosola #asia #theheartofasiataiwan #estremooriente
📔 DIARI DI VIAGGIO DA TAIWAN 🎋 (parte 2 di 3)
🐒 Questi buffi bipedi che si aggirano su ruote 🚲 

A 3 ore dalla capitale Taipei si trova un posto che sembra uscito da una fiaba: il Lago del Sole e della Luna.

Non mi trovo molto d’accordo sul nome del lago, il più grande di Taiwan, che i cinesi hanno ribattezzato così per la sua forma… ma su una cosa concordo con i cinesi: le sue montagne ammantate di nubi azzurre fanno da sfondo a paesaggi idilliaci. 

Per esplorarlo uno dei modi migliori è noleggiare una bici con la quale percorrere i 33 chilometri, per lo più su una pista ciclabile in buona parte rialzata sulle acque turchesi. 
Ma bisogna anche smontare se si vuole arrivare alle pagode dei templi e attraversare foreste di robusti bambù, di palme slanciate che indossano cappelli frondosi e di ficus immensi dalle radici tentacolari che si fanno strada tra massicci alberi di stelle di Natale in fiore. 

Sì, avete letto bene: alberi. Queste piante, che noi angustiamo in vasi di plastica nei nostri inverni europei, sono in realtà una flora tropicale che nel clima mite dei boschi di queste latitudini godono di una longevità che noi gli precludiamo. 

La ciclabile non è animata solo dalla vitalità portentosa della vegetazione, ma anche da incontri faunistici. Macachi, scoiattoli rossi di Formosa e i colorati uccelli tipici dell’isola abitano queste sponde dove gli animali esotici siamo noi. Loro interrompono le loro attività per sedersi sui rami a guardare con curiosità noi, questi bipedi che si aggirano su ruote. 

#taiwan #ilovetaiwan #visittaiwan #sunmoonlake #ioviaggiosola #asia #theheartofasiataiwan #estremooriente
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Non mi trovo molto d’accordo sul nome del lago, il più grande di Taiwan, che i cinesi hanno ribattezzato così per la sua forma… ma su una cosa concordo con i cinesi: le sue montagne ammantate di nubi azzurre fanno da sfondo a paesaggi idilliaci. 

Per esplorarlo uno dei modi migliori è noleggiare una bici con la quale percorrere i 33 chilometri, per lo più su una pista ciclabile in buona parte rialzata sulle acque turchesi. 
Ma bisogna anche smontare se si vuole arrivare alle pagode dei templi e attraversare foreste di robusti bambù, di palme slanciate che indossano cappelli frondosi e di ficus immensi dalle radici tentacolari che si fanno strada tra massicci alberi di stelle di Natale in fiore. 

Sì, avete letto bene: alberi. Queste piante, che noi angustiamo in vasi di plastica nei nostri inverni europei, sono in realtà una flora tropicale che nel clima mite dei boschi di queste latitudini godono di una longevità che noi gli precludiamo. 

La ciclabile non è animata solo dalla vitalità portentosa della vegetazione, ma anche da incontri faunistici. Macachi, scoiattoli rossi di Formosa e i colorati uccelli tipici dell’isola abitano queste sponde dove gli animali esotici siamo noi. Loro interrompono le loro attività per sedersi sui rami a guardare con curiosità noi, questi bipedi che si aggirano su ruote. 

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Non mi trovo molto d’accordo sul nome del lago, il più grande di Taiwan, che i cinesi hanno ribattezzato così per la sua forma… ma su una cosa concordo con i cinesi: le sue montagne ammantate di nubi azzurre fanno da sfondo a paesaggi idilliaci. 

Per esplorarlo uno dei modi migliori è noleggiare una bici con la quale percorrere i 33 chilometri, per lo più su una pista ciclabile in buona parte rialzata sulle acque turchesi. 
Ma bisogna anche smontare se si vuole arrivare alle pagode dei templi e attraversare foreste di robusti bambù, di palme slanciate che indossano cappelli frondosi e di ficus immensi dalle radici tentacolari che si fanno strada tra massicci alberi di stelle di Natale in fiore. 

Sì, avete letto bene: alberi. Queste piante, che noi angustiamo in vasi di plastica nei nostri inverni europei, sono in realtà una flora tropicale che nel clima mite dei boschi di queste latitudini godono di una longevità che noi gli precludiamo. 

La ciclabile non è animata solo dalla vitalità portentosa della vegetazione, ma anche da incontri faunistici. Macachi, scoiattoli rossi di Formosa e i colorati uccelli tipici dell’isola abitano queste sponde dove gli animali esotici siamo noi. Loro interrompono le loro attività per sedersi sui rami a guardare con curiosità noi, questi bipedi che si aggirano su ruote. 

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Non mi trovo molto d’accordo sul nome del lago, il più grande di Taiwan, che i cinesi hanno ribattezzato così per la sua forma… ma su una cosa concordo con i cinesi: le sue montagne ammantate di nubi azzurre fanno da sfondo a paesaggi idilliaci. 

Per esplorarlo uno dei modi migliori è noleggiare una bici con la quale percorrere i 33 chilometri, per lo più su una pista ciclabile in buona parte rialzata sulle acque turchesi. 
Ma bisogna anche smontare se si vuole arrivare alle pagode dei templi e attraversare foreste di robusti bambù, di palme slanciate che indossano cappelli frondosi e di ficus immensi dalle radici tentacolari che si fanno strada tra massicci alberi di stelle di Natale in fiore. 

Sì, avete letto bene: alberi. Queste piante, che noi angustiamo in vasi di plastica nei nostri inverni europei, sono in realtà una flora tropicale che nel clima mite dei boschi di queste latitudini godono di una longevità che noi gli precludiamo. 

La ciclabile non è animata solo dalla vitalità portentosa della vegetazione, ma anche da incontri faunistici. Macachi, scoiattoli rossi di Formosa e i colorati uccelli tipici dell’isola abitano queste sponde dove gli animali esotici siamo noi. Loro interrompono le loro attività per sedersi sui rami a guardare con curiosità noi, questi bipedi che si aggirano su ruote. 

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Non mi trovo molto d’accordo sul nome del lago, il più grande di Taiwan, che i cinesi hanno ribattezzato così per la sua forma… ma su una cosa concordo con i cinesi: le sue montagne ammantate di nubi azzurre fanno da sfondo a paesaggi idilliaci. 

Per esplorarlo uno dei modi migliori è noleggiare una bici con la quale percorrere i 33 chilometri, per lo più su una pista ciclabile in buona parte rialzata sulle acque turchesi. 
Ma bisogna anche smontare se si vuole arrivare alle pagode dei templi e attraversare foreste di robusti bambù, di palme slanciate che indossano cappelli frondosi e di ficus immensi dalle radici tentacolari che si fanno strada tra massicci alberi di stelle di Natale in fiore. 

Sì, avete letto bene: alberi. Queste piante, che noi angustiamo in vasi di plastica nei nostri inverni europei, sono in realtà una flora tropicale che nel clima mite dei boschi di queste latitudini godono di una longevità che noi gli precludiamo. 

La ciclabile non è animata solo dalla vitalità portentosa della vegetazione, ma anche da incontri faunistici. Macachi, scoiattoli rossi di Formosa e i colorati uccelli tipici dell’isola abitano queste sponde dove gli animali esotici siamo noi. Loro interrompono le loro attività per sedersi sui rami a guardare con curiosità noi, questi bipedi che si aggirano su ruote. 

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📔 DIARI DI VIAGGIO DA TAIWAN 🎋 (parte 1 di 3)
🐉 Di templi e di preghiere affidate ad alberi 🧧

A ogni angolo del centro di Tainan si trovano templi rosseggianti e animati da statue di divinità annerite dall’incessante bruciare dei bastoncini di incenso che si consumano in volute di fumo verso il cielo. 

Pochi suoni essenziali vigono dentro al tempio: il ritmo dei tamburi, le nenie dei canti e lo schiocco delle coppie di bwa bwei, le tavolette divinatorie a forma di mezzaluna, che lanciate in terra rivelano destini. 
Una mezzaluna a faccia in giù e una a faccia in su, la divinità ha risposto di sì alla tua domanda. Entrambe a faccia in su, la risposta è “no”. Entrambe a faccia in giù: con la tua richiesta hai fatto ridere il Dio perché forse non è il momento di dare responsi alla tua domanda o forse hai già preso una decisione e allora, a che serve chiedere? 

Sui tetti ricurvi si allungano draghi serpentiformi e tra le travi che li sorreggono, scattosi passerotti fanno il nido. Vanno e vengono per nasconderci pagliuzze e portare insetti. 

Poi, davanti a un minuscolo tempio dai colori vivaci un anziano signore mi spiega in mandarino che tra qualche giorno si terrà la processione per la divinità. Mi mostra il baldacchino dove seggono le statue nere di accigliati uomini barbuti. 
Me lo spiega sotto al ficus centenario che presiede il tempio. I suoi rami si sono fatti tronchi che si contorcono sull’albero avvolgendolo in spirali confuse. 
Per la scienza è un ficus microcarpa, per gli abitanti del quartiere è semplicemente “l’albero del ping pong”, il protettore delle preghiere affidate alle sue liane, che penzolano appesantite dalle speranze dei fedeli.

#tainan #taiwan #taiwantravel #ilovetaiwan #asia #culturacinese #bwabwei #taoismo #buddhismo #templicinesi #viaggiofotograforacconto #ioviaggiosola #asiatrip #heartofasia #visittaiwan
📔 DIARI DI VIAGGIO DA TAIWAN 🎋 (parte 1 di 3)
🐉 Di templi e di preghiere affidate ad alberi 🧧

A ogni angolo del centro di Tainan si trovano templi rosseggianti e animati da statue di divinità annerite dall’incessante bruciare dei bastoncini di incenso che si consumano in volute di fumo verso il cielo. 

Pochi suoni essenziali vigono dentro al tempio: il ritmo dei tamburi, le nenie dei canti e lo schiocco delle coppie di bwa bwei, le tavolette divinatorie a forma di mezzaluna, che lanciate in terra rivelano destini. 
Una mezzaluna a faccia in giù e una a faccia in su, la divinità ha risposto di sì alla tua domanda. Entrambe a faccia in su, la risposta è “no”. Entrambe a faccia in giù: con la tua richiesta hai fatto ridere il Dio perché forse non è il momento di dare responsi alla tua domanda o forse hai già preso una decisione e allora, a che serve chiedere? 

Sui tetti ricurvi si allungano draghi serpentiformi e tra le travi che li sorreggono, scattosi passerotti fanno il nido. Vanno e vengono per nasconderci pagliuzze e portare insetti. 

Poi, davanti a un minuscolo tempio dai colori vivaci un anziano signore mi spiega in mandarino che tra qualche giorno si terrà la processione per la divinità. Mi mostra il baldacchino dove seggono le statue nere di accigliati uomini barbuti. 
Me lo spiega sotto al ficus centenario che presiede il tempio. I suoi rami si sono fatti tronchi che si contorcono sull’albero avvolgendolo in spirali confuse. 
Per la scienza è un ficus microcarpa, per gli abitanti del quartiere è semplicemente “l’albero del ping pong”, il protettore delle preghiere affidate alle sue liane, che penzolano appesantite dalle speranze dei fedeli.

#tainan #taiwan #taiwantravel #ilovetaiwan #asia #culturacinese #bwabwei #taoismo #buddhismo #templicinesi #viaggiofotograforacconto #ioviaggiosola #asiatrip #heartofasia #visittaiwan
📔 DIARI DI VIAGGIO DA TAIWAN 🎋 (parte 1 di 3)
🐉 Di templi e di preghiere affidate ad alberi 🧧

A ogni angolo del centro di Tainan si trovano templi rosseggianti e animati da statue di divinità annerite dall’incessante bruciare dei bastoncini di incenso che si consumano in volute di fumo verso il cielo. 

Pochi suoni essenziali vigono dentro al tempio: il ritmo dei tamburi, le nenie dei canti e lo schiocco delle coppie di bwa bwei, le tavolette divinatorie a forma di mezzaluna, che lanciate in terra rivelano destini. 
Una mezzaluna a faccia in giù e una a faccia in su, la divinità ha risposto di sì alla tua domanda. Entrambe a faccia in su, la risposta è “no”. Entrambe a faccia in giù: con la tua richiesta hai fatto ridere il Dio perché forse non è il momento di dare responsi alla tua domanda o forse hai già preso una decisione e allora, a che serve chiedere? 

Sui tetti ricurvi si allungano draghi serpentiformi e tra le travi che li sorreggono, scattosi passerotti fanno il nido. Vanno e vengono per nasconderci pagliuzze e portare insetti. 

Poi, davanti a un minuscolo tempio dai colori vivaci un anziano signore mi spiega in mandarino che tra qualche giorno si terrà la processione per la divinità. Mi mostra il baldacchino dove seggono le statue nere di accigliati uomini barbuti. 
Me lo spiega sotto al ficus centenario che presiede il tempio. I suoi rami si sono fatti tronchi che si contorcono sull’albero avvolgendolo in spirali confuse. 
Per la scienza è un ficus microcarpa, per gli abitanti del quartiere è semplicemente “l’albero del ping pong”, il protettore delle preghiere affidate alle sue liane, che penzolano appesantite dalle speranze dei fedeli.

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A ogni angolo del centro di Tainan si trovano templi rosseggianti e animati da statue di divinità annerite dall’incessante bruciare dei bastoncini di incenso che si consumano in volute di fumo verso il cielo. 

Pochi suoni essenziali vigono dentro al tempio: il ritmo dei tamburi, le nenie dei canti e lo schiocco delle coppie di bwa bwei, le tavolette divinatorie a forma di mezzaluna, che lanciate in terra rivelano destini. 
Una mezzaluna a faccia in giù e una a faccia in su, la divinità ha risposto di sì alla tua domanda. Entrambe a faccia in su, la risposta è “no”. Entrambe a faccia in giù: con la tua richiesta hai fatto ridere il Dio perché forse non è il momento di dare responsi alla tua domanda o forse hai già preso una decisione e allora, a che serve chiedere? 

Sui tetti ricurvi si allungano draghi serpentiformi e tra le travi che li sorreggono, scattosi passerotti fanno il nido. Vanno e vengono per nasconderci pagliuzze e portare insetti. 

Poi, davanti a un minuscolo tempio dai colori vivaci un anziano signore mi spiega in mandarino che tra qualche giorno si terrà la processione per la divinità. Mi mostra il baldacchino dove seggono le statue nere di accigliati uomini barbuti. 
Me lo spiega sotto al ficus centenario che presiede il tempio. I suoi rami si sono fatti tronchi che si contorcono sull’albero avvolgendolo in spirali confuse. 
Per la scienza è un ficus microcarpa, per gli abitanti del quartiere è semplicemente “l’albero del ping pong”, il protettore delle preghiere affidate alle sue liane, che penzolano appesantite dalle speranze dei fedeli.

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A ogni angolo del centro di Tainan si trovano templi rosseggianti e animati da statue di divinità annerite dall’incessante bruciare dei bastoncini di incenso che si consumano in volute di fumo verso il cielo. 

Pochi suoni essenziali vigono dentro al tempio: il ritmo dei tamburi, le nenie dei canti e lo schiocco delle coppie di bwa bwei, le tavolette divinatorie a forma di mezzaluna, che lanciate in terra rivelano destini. 
Una mezzaluna a faccia in giù e una a faccia in su, la divinità ha risposto di sì alla tua domanda. Entrambe a faccia in su, la risposta è “no”. Entrambe a faccia in giù: con la tua richiesta hai fatto ridere il Dio perché forse non è il momento di dare responsi alla tua domanda o forse hai già preso una decisione e allora, a che serve chiedere? 

Sui tetti ricurvi si allungano draghi serpentiformi e tra le travi che li sorreggono, scattosi passerotti fanno il nido. Vanno e vengono per nasconderci pagliuzze e portare insetti. 

Poi, davanti a un minuscolo tempio dai colori vivaci un anziano signore mi spiega in mandarino che tra qualche giorno si terrà la processione per la divinità. Mi mostra il baldacchino dove seggono le statue nere di accigliati uomini barbuti. 
Me lo spiega sotto al ficus centenario che presiede il tempio. I suoi rami si sono fatti tronchi che si contorcono sull’albero avvolgendolo in spirali confuse. 
Per la scienza è un ficus microcarpa, per gli abitanti del quartiere è semplicemente “l’albero del ping pong”, il protettore delle preghiere affidate alle sue liane, che penzolano appesantite dalle speranze dei fedeli.

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A ogni angolo del centro di Tainan si trovano templi rosseggianti e animati da statue di divinità annerite dall’incessante bruciare dei bastoncini di incenso che si consumano in volute di fumo verso il cielo. 

Pochi suoni essenziali vigono dentro al tempio: il ritmo dei tamburi, le nenie dei canti e lo schiocco delle coppie di bwa bwei, le tavolette divinatorie a forma di mezzaluna, che lanciate in terra rivelano destini. 
Una mezzaluna a faccia in giù e una a faccia in su, la divinità ha risposto di sì alla tua domanda. Entrambe a faccia in su, la risposta è “no”. Entrambe a faccia in giù: con la tua richiesta hai fatto ridere il Dio perché forse non è il momento di dare responsi alla tua domanda o forse hai già preso una decisione e allora, a che serve chiedere? 

Sui tetti ricurvi si allungano draghi serpentiformi e tra le travi che li sorreggono, scattosi passerotti fanno il nido. Vanno e vengono per nasconderci pagliuzze e portare insetti. 

Poi, davanti a un minuscolo tempio dai colori vivaci un anziano signore mi spiega in mandarino che tra qualche giorno si terrà la processione per la divinità. Mi mostra il baldacchino dove seggono le statue nere di accigliati uomini barbuti. 
Me lo spiega sotto al ficus centenario che presiede il tempio. I suoi rami si sono fatti tronchi che si contorcono sull’albero avvolgendolo in spirali confuse. 
Per la scienza è un ficus microcarpa, per gli abitanti del quartiere è semplicemente “l’albero del ping pong”, il protettore delle preghiere affidate alle sue liane, che penzolano appesantite dalle speranze dei fedeli.

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A ogni angolo del centro di Tainan si trovano templi rosseggianti e animati da statue di divinità annerite dall’incessante bruciare dei bastoncini di incenso che si consumano in volute di fumo verso il cielo. 

Pochi suoni essenziali vigono dentro al tempio: il ritmo dei tamburi, le nenie dei canti e lo schiocco delle coppie di bwa bwei, le tavolette divinatorie a forma di mezzaluna, che lanciate in terra rivelano destini. 
Una mezzaluna a faccia in giù e una a faccia in su, la divinità ha risposto di sì alla tua domanda. Entrambe a faccia in su, la risposta è “no”. Entrambe a faccia in giù: con la tua richiesta hai fatto ridere il Dio perché forse non è il momento di dare responsi alla tua domanda o forse hai già preso una decisione e allora, a che serve chiedere? 

Sui tetti ricurvi si allungano draghi serpentiformi e tra le travi che li sorreggono, scattosi passerotti fanno il nido. Vanno e vengono per nasconderci pagliuzze e portare insetti. 

Poi, davanti a un minuscolo tempio dai colori vivaci un anziano signore mi spiega in mandarino che tra qualche giorno si terrà la processione per la divinità. Mi mostra il baldacchino dove seggono le statue nere di accigliati uomini barbuti. 
Me lo spiega sotto al ficus centenario che presiede il tempio. I suoi rami si sono fatti tronchi che si contorcono sull’albero avvolgendolo in spirali confuse. 
Per la scienza è un ficus microcarpa, per gli abitanti del quartiere è semplicemente “l’albero del ping pong”, il protettore delle preghiere affidate alle sue liane, che penzolano appesantite dalle speranze dei fedeli.

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Pochi suoni essenziali vigono dentro al tempio: il ritmo dei tamburi, le nenie dei canti e lo schiocco delle coppie di bwa bwei, le tavolette divinatorie a forma di mezzaluna, che lanciate in terra rivelano destini. 
Una mezzaluna a faccia in giù e una a faccia in su, la divinità ha risposto di sì alla tua domanda. Entrambe a faccia in su, la risposta è “no”. Entrambe a faccia in giù: con la tua richiesta hai fatto ridere il Dio perché forse non è il momento di dare responsi alla tua domanda o forse hai già preso una decisione e allora, a che serve chiedere? 

Sui tetti ricurvi si allungano draghi serpentiformi e tra le travi che li sorreggono, scattosi passerotti fanno il nido. Vanno e vengono per nasconderci pagliuzze e portare insetti. 

Poi, davanti a un minuscolo tempio dai colori vivaci un anziano signore mi spiega in mandarino che tra qualche giorno si terrà la processione per la divinità. Mi mostra il baldacchino dove seggono le statue nere di accigliati uomini barbuti. 
Me lo spiega sotto al ficus centenario che presiede il tempio. I suoi rami si sono fatti tronchi che si contorcono sull’albero avvolgendolo in spirali confuse. 
Per la scienza è un ficus microcarpa, per gli abitanti del quartiere è semplicemente “l’albero del ping pong”, il protettore delle preghiere affidate alle sue liane, che penzolano appesantite dalle speranze dei fedeli.

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6 mesi ago
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11/12
Da qualche tempo a questa parte sono solita dare un’interpretare i singoli anni che vivo per verificare se coincide con la parola d’ordine di turno che mi propongo a capodanno.
Spoiler: non coincide mai. 

A voler trovare una parola chiave, il 2024 è stato l’anno dei ritorni. 

Sono tornata dopo moltissimo tempo a: Istanbul, Vienna, Napoli, Francia, Belgio, Grecia, Vietnam, Oktoberfest. Poi ci sono stati ritorni più frequenti, ma per certi versi più significativi: quelli in Giordania. 
Quelli si chiamano ormai “ritorni”, perché in Giordania io non ci vivo più. Ma di questo ne parlerò un’altra volta. 

Il tema del ritorno ha dato da pensare a una come me che è affamata di novità. A me che non ripeto e non ritorno perché sono di noia facile ed ho sempre bisogno di nuovi stimoli. 
La monotonia è un mostro da cui mi tengo alla larga… io sono una che non riesce a fare la stessa colazione per più di 3 mattine di seguito 😅 
Io non rileggo libri, non rivedo film e non torno negli stessi posti.

Io, come Montanelli (che scriveva “i ricordi vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati senza tentare di rinnovarli, mai”), penso che i ritorni siano pericolosi e tendo a starne alla larga. 
Tornare però può anche voler dire approfondire e guardare le cose con altri occhi, quelli del tempo e della maturità. Soprattutto se si mancava da molto. 

Ecco, questo mi sono chiesta: e se il mio tornare fosse sintomo di maturità? Insomma, sto “invecchiando”, nel senso buono del termine. 
E poteva essere diversamente in un anno, matematicamente simbolico, come quello in cui ho compiuto 40 anni? 

Di novità poi ce ne sono state eccome. Nuove e importanti, quanto sudate, consapevolezze. Poi nuovi paesi: Albania, Montenegro, Taiwan, Corea. 
E nuove avventure, come il trekking di 3 giorni Dana-Petra che ho finalmente spuntato dalla mia lista dei sogni nel cassetto.

In ogni caso questo anno volge al termine e io devo ancora metabolizzarlo. Ma intanto in questo reel vi lascio un concentrato del mio 2024.
E a voi come è andata? 

#2024 #2025 #annonuovo #ritorni #asia #albania #montenegro #corea #taiwan #ilovetaiwan #oktoberfest #istanbul #napoli #grecia #amicizie #sorellanza
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Da qualche tempo a questa parte sono solita dare un’interpretare i singoli anni che vivo per verificare se coincide con la parola d’ordine di turno che mi propongo a capodanno. Spoiler: non coincide mai. A voler trovare una parola chiave, il 2024 è stato l’anno dei ritorni. Sono tornata dopo moltissimo tempo a: Istanbul, Vienna, Napoli, Francia, Belgio, Grecia, Vietnam, Oktoberfest. Poi ci sono stati ritorni più frequenti, ma per certi versi più significativi: quelli in Giordania. Quelli si chiamano ormai “ritorni”, perché in Giordania io non ci vivo più. Ma di questo ne parlerò un’altra volta. Il tema del ritorno ha dato da pensare a una come me che è affamata di novità. A me che non ripeto e non ritorno perché sono di noia facile ed ho sempre bisogno di nuovi stimoli. La monotonia è un mostro da cui mi tengo alla larga… io sono una che non riesce a fare la stessa colazione per più di 3 mattine di seguito 😅 Io non rileggo libri, non rivedo film e non torno negli stessi posti. Io, come Montanelli (che scriveva “i ricordi vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati senza tentare di rinnovarli, mai”), penso che i ritorni siano pericolosi e tendo a starne alla larga. Tornare però può anche voler dire approfondire e guardare le cose con altri occhi, quelli del tempo e della maturità. Soprattutto se si mancava da molto. Ecco, questo mi sono chiesta: e se il mio tornare fosse sintomo di maturità? Insomma, sto “invecchiando”, nel senso buono del termine. E poteva essere diversamente in un anno, matematicamente simbolico, come quello in cui ho compiuto 40 anni? Di novità poi ce ne sono state eccome. Nuove e importanti, quanto sudate, consapevolezze. Poi nuovi paesi: Albania, Montenegro, Taiwan, Corea. E nuove avventure, come il trekking di 3 giorni Dana-Petra che ho finalmente spuntato dalla mia lista dei sogni nel cassetto. In ogni caso questo anno volge al termine e io devo ancora metabolizzarlo. Ma intanto in questo reel vi lascio un concentrato del mio 2024. E a voi come è andata? #2024 #2025 #annonuovo #ritorni #asia #albania #montenegro #corea #taiwan #ilovetaiwan #oktoberfest #istanbul #napoli #grecia #amicizie #sorellanza
7 mesi ago
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